Nella Regione Puglie istituito il giorno della memoria di quelli morti durante la “campagna contro il brigantaggio”. Aspettiamo ancora il giorno della memoria per coloro che sono moerti nei Gulag, come chiesto da sempre da Libertates.
C’era ancora qualche dubbio sul pericoloso scivolone che il nostro sistema di pubblici poteri ha preso, con vertiginose accelerazioni, negli ultimi 20-30 anni?
Non abbiamo dubbi nel ritenere che lo scivolone, lungi dall’avere termine, continui progressivamente a travolgere ogni giorno elementi portanti della nostra coscienza pubblica che ritenevamo ormai ancorati al nostro passato storico e alle fondamenta del nostro sistema istituzionale.
Orbene il 4 luglio ultimo scorso, il consiglio regionale della Puglia ha approvato una mozione presentata dal gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle con la quale si indica il giorno 13 febbraio come data permanente per commemorare “i meridionali che perirono in occasione dell’Unità (d’Italia, ovviamente) nonché i relativi paesi rasi al suolo”. Il riferimento non è, come sarebbe naturale, alle molte migliaia di patrioti meridionali morti per dare al Sud una speranza di unificazione col resto d’Italia, ma ai briganti che opposero resistenza agli invasori piemontesi.
Tale mozione impegna l’amministrazione regionale pugliese a concentrare in tale giornata della memoria “le iniziative di propria competenza al fine di promuovere convegni ed eventi atti a rammentare i fatti in oggetto”. Il riferimento storico di questa mozione, anche se non espresso esplicitamente, è, come si è accennato, al fenomeno del brigantaggio contro il quale si scagliarono le forze del neonato Stato unitario. In molte regioni meridionali , esso, specie all’inizio, ebbe un ruolo di contestazione e di intralcio al processo di unità nazionale (oltreché, naturalmente, di opposizione alla legalità statale che contrastava la criminalità come sistema di reperimento delle risorse economiche finalizzate alla sua sussistenza e a quella dei propri associati).
Non si possono qui ripercorrere i dibattiti sulle interpretazioni del processo di unificazione italiana e i temi della celebre polemica imperniata, da un lato, sulle tesi gramsciane e, dall’altro, su quelle sostenute dal filone storiografico che faceva riferimento a Croce, Chabod, Antoni, e infine a Rosario Romeo anch’egli contrapposto a quello guidato da Antonio Gramsci e Emilio Sereni.
I temi di quella polemica sono comunque assai interessanti e oggi sarebbe troppo pretendere che gli attori della politica nostrana, così lontani da ogni, se pur larvato, approfondimento storiografico e culturale e dediti solo al turpiloquio e alla captazione degli umori più bassi della popolazione, possano renderseni interpreti.
Ma, quando si parla di argomenti che comunque vanno ad attingere alle radici della nostra storia nazionale, non si dovrebbe prescindere da una ancorché superficiale conoscenza dei fatti. I numeri da soli, seppur importanti,non possono completamente rappresentarli: 10.000 briganti morti, oltre ai 5.000 militari e ai 5.000 civili.
Una giornata della memoria fa pensare che per i proponenti della mozione, i briganti morti sommati ai civili possano essere considerati vittime del sistema repressivo inaugurato dallo Stato unitario. Mentre i militari morti, molti di meno, sarebbero stati gli aguzzini spediti al sud dal governo sabaudo per reprimere i conati di irredentismo sudista che si manifestavano nelle popolazioni meridionali (in realtà anche i 5.000 militari furono per larga parte di origine meridionale).
Ma oltre a questo, come giustamente viene sottolineato da Alessandro Laterza su Il Corriere della Sera, è che fissare il 13 febbraio come data di una “giornata della memoria” significa mettere le vicende della lotta al brigantaggio nel Sud d’Italia sullo stesso piano del genocidio nazista degli ebrei; o al più “rinviare alla giornata del ricordo dedicata alle vittime delle foibe e della pulizia etnica che colpì gli italiani di Istria”.
La relazione che accompagna la mozione votata dal consiglio regionale pugliese scade poi nel ridicolo quando si sofferma sulle motivazione che avrebbero indotto i proponenti del M5S a presentarla: “Quello che è successo è stato un risveglio della coscienza. Tantissimi giovani – e non solo giovani – hanno imparato a valorizzare il loro territorio e ad amarlo”. Dunque la riscoperta del proprio territorio deve passare attraverso la rivalutazione dell’epoca borbonica, dei capibanda del brigantaggio, e della resistenza che proprio il 13 febbraio Francesco II, re delle due Sicilie, oppose alle truppe piemontesi, considerate come gli ”invasori “stranieri”, durante l’assedio di Gaeta. E, parimenti, attraverso il tributo di sangue pagato dall’esercito borbonico contro i 25.000 garibaldini, di cui moltissimi meridionali (esecrabili come collaborazionisti dei piemontesi?) nell’ultima battaglia campale sulle rive del Volturno. La resistenza dei briganti all’invasione piemontese diverrebbe così , attraverso convegni ed eventi finanziati dalla Regione, degna di entrare nel novero delle vicende memorabili e storicamente istruttiva per le giovani generazioni.
Rileggo ancora Croce che, ricercando, nella sua “ Storia del Regno di Napoli”, la migliore tradizione politica dell’Italia meridionale, trovava ”che la sola di cui essa possa trarre intero vanto è appunto quella che mette capo agli uomini di dottrina e di pensiero, i quali compierono quanto di bene si fece in questo paese, all’anima di questo paese, quando gli conferì decoro e nobiltà, quando gli preparò e gli schiuse un migliore avvenire,e l’unì all’Italia. Benedetta sia sempre la loro memoria e si rinnovi perpetua in noi l’efficacia del loro esempio”.
di Maurizio Hanke