Non c’è solo l’integralismo cattolico, ma anche quello laico
La vita non è un valore assoluto: può essere sacrificato per un ideale, una fede o il bene di altri esseri umani. L’eroismo dimostrato in guerra, nel soccorso umanitario, nel sacrificio di una madre per la sopravvivenza del proprio bambino, impongono soltanto ammirazione colma di rispetto.
Ma quella stessa vita non è negoziabile: non è possibile cioè disporne per legge, o per ragioni politiche. Ed è questo che i nuovi integralisti invece perseguono: vogliono relativizzarne il valore per sottoporlo al dominio della politica, tagliuzzarlo come un salame per poi servirlo al buffet dei “diritti”, disponibile sul mercato dei desideri insindacabili e del soggettivismo assoluto.
Invece la libertà di vivere vale per tutti, dal concepimento al trapasso finale, e si definisce entro limiti e responsabilità precisi: non soltanto in accordo con le leggi, ma anche nel rispetto dell’antropologia naturale, cioè umana, e della sue differenze, a partire da quella fra donne e uomini. I tentativi di trasferire l’ingegneria sociale, tipica dell’utopismo collettivistico e totalitario, sull’individuo, plasmandone l’identità genetica, sessuale, mentale, costituiscono una minaccia al senso della persona, della sua interezza, e al rispetto assoluto che le si deve.
Esistono dunque per noi di Libertates valori invalicabili, sia in campo politico che scientifico. Essi devono essere sottratti alla ideologia scientista come a quella del soggettivismo assoluto, dei diritti insaziabili, modellati su desideri per loro natura illimitati. E occorre denunciare l’equivoco in cui cadono molti liberali, convinti in astratto che laicità e autonomia di scelta possano legittimamente prevalere sul rispetto per la natura umana.
Noi non riconosciamo alcun “diritto al figlio”, se realizzato attraverso forme estreme di mercato del corpo e liberismo riproduttivo come “l’utero in affitto”o la donazione incontrollata di ovuli.
Riteniamo che una società orientata alla vita debba opporsi a qualsiasi forma di eugenetica, eutanasia e pena di morte, limitando il più possibile l’aborto, pur nel rispetto dell’autonomia della donna, e accogliendo la volontà di chi, gravemente ammalato, non intenda sottoporsi ad un prolungamento inumano delle cure.
Sosteniamo, anche con l’aiuto fiscale dello Stato, ogni forma di filantropia volta a soccorrere chi viva una condizione di fragilità, sia tentato dal suicidio, o si abbandoni all’autodistruzione progressiva attraverso le droghe.
Difendiamo la famiglia come unione di due persone orientate alla procreazione e alla reciproca dedizione, e intendiamo distinguerla da ogni altro tipo di unione, con un adeguato riconoscimento giuridico e sostegno economico per la prole. Affermiamo il diritto di ogni nato a riconoscersi in un padre e una madre.
Nello stesso tempo, affermiamo la piena libertà individuale di scelta: ogni tipo di unione può avere la sua dignità e, incarnando le differenze, arricchire la società.
La cultura delle libertà da un lato dunque riconosce lo status unico della famiglia naturale come portatrice di autonomia e coesione sociale, identità personale, progettualità per i figli; dall’altro si batte per i pieni diritti di tutte le altre forme di unione, che non comportino diretti obblighi economici per lo Stato e il coinvolgimento di minorenni (comprese le adozioni). Coppie non sposate, omosessuali, single, famiglie plurime o poligamiche o temporanee: ognuna deve poter esistere senza interferenze dello Stato, purché non infranga la legge. Ai loro componenti spettano i diritti individuali di solidarietà e assistenza reciproca (per esempio quello all’abitazione quando uno dei conviventi viene a mancare) e gli aiuti decisi dagli enti pubblici (previdenze per gli indigenti, casa, educazione, eccetera).
Ma una simile visione libertaria dei rapporti umani e familiari, che non impone a nessuno un modello fisso, trova un limite nella affermazione di una priorità: quella dei valori naturali non negoziabili. Su di essi si fonda la concezione di una famiglia formata da un uomo e da una donna, luogo dell’affettività, del sacrificio reciproco, del concepimento e della formazione dei figli, progetto e investimento per le generazioni future. Il suo valore non è solo sociale, come stabilito della Costituzione, e fattore di sviluppo demografico, ma a sua volta libertario: esso testimonia l’esistenza di una cellula sociale primigenia, e indipendente dal potere statale. Perciò è un tema fondamentale per Libertates. Una politica attiva per la famiglia deve dedicare ad essa prestazioni universali. E riconoscimenti simbolici: la facoltà per i coniugi di scegliere, di comune accordo, il cognome di famiglia per sè e per i propri figli.
Come nella gran parte dei Paesi Ue, gli assegni per i figli devono essere universali, modulati sulla base del reddito: non devono dipendere dalla condizione professionale e quindi si devono erogare in ogni caso, anche oltre la scadenza del trattamento di disoccupazione. Le famiglie che dispongono di un reddito devono poter beneficiare inoltre di un credito d’imposta sin dal primo figlio, che in caso di incapienza possa diventare aiuto diretto in denaro.
Al di fuori del matrimonio, ogni genere di unione deve essere libera, riconosciuta e protetta da qualsiasi discriminazione legale, in grado di stipulare contratti di mutua assistenza, reversibilità delle pensioni private, diritto alla coabitazione, al sostegno reciproco, all’assistenza medica, all’accesso alle graduatorie per le case pubbliche e a ogni altro intervento che non comporti obblighi finanziari diretti per lo Stato e non coinvolga, a partire dalle adozioni, soggetti minorenni.
Infine, l’accesso alle adozioni delle coppie sposate deve essere incoraggiato il più possibile.
(terza e ultima puntata)
Dario Fertilio