In Italia c’è da settimane una battaglia politica che sembra la più importante: non è quella sui costi dell’energia o sulla probabile recessione in arrivo, sulla sanità sempre più in difficoltà o sui migranti in arrivo a migliaia; è quella sul Pos.
Ma di cosa stiamo parlando?
Sul fatto che artigiani, tassisti e negozianti vorrebbero essere esentati dall’uso della moneta digitale e tornare ai pagamenti in contanti, almeno sino ad una certa soglia perché i costi sarebbero troppo alti.
Ebbene ci siamo mai domandati quali sono questi costi?
Sino a 5 euro non ci sono commissioni, oltre sono di circa il 0,7% per o bancomat e dell’1,2% per le carte di credito. Ad essi va aggiunto il noleggio del Pos: circa 14 euro al mese.
Quindi su un conto di 20€ le spese vanno da 14 a 24 centesimi. Per un tassista una corsa di 20€ prevede un costo di 10 centesimi per il bancomat e di 30 centesimi per una carta di credito. Costi addirittura inferiori se i pagamenti vengono fatti con Satispay. Ma non è che il contante non costi: i costi bancari per l’uso della cassa continua e la gestione del contante possono anche arrivare all’1% degli importi.
Come spesso avviene in Italia si è innescata una battaglia tutta ideologica, o meglio politica: grandi discussioni basate non su dati o statistiche, ma sulle convinzioni, o meglio sugli interessi politici, di ognuno.
Perché il costo è minimo, come si è visto, ma l’unico vero vantaggio è incassare in nero.
Un provvedimento che sarebbe stato in contrasto con quella lotta all’evasione diffusa che ci contraddistingue e ci allontana dai Paesi europei più avanzati, ove la moneta elettronica è sempre più diffusa.
di Angelo Gazzaniga