La libertà di lavorare e il dramma delle badanti

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La Costituzione italiana recita tra i suoi primi articoli: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Alla stessa stregua, altri paesi europei, a loro tempo, hanno adottato l’affermazione, facendo scaturire un diritto, una libertà: quella al lavorare.
Cosa accade, però, se questa libertà non viene garantita, sorretta, agevolata dallo Stato? A causa di politiche lacunose, strategie imperfette, sistemi che crollano su se stessi frantumandosi in crisi.
Accade la Sindrome Italia. Accadono gli Orfani bianchi. E il fenomeno della badante. Sono questi gli effetti del grande esodo di genitori-lavoratori verso l’Occidente, fenomeno che flagella sempre di più l’Europa dell’Est.
Sindrome Italia, perché è nello stivale che si conta la comunità più numerosa di stranieri. Orfani bianchi, perché i genitori, i figli abbandonati, li hanno, ma la loro presenza si nota solo sui documenti e sulle ricevute di trasferimento di denaro. Fenomeno della badante, perché sono spesso le donne a partire, trovando lavori come badanti.
Volgendo lo sguardo verso la Romania (lo Stato che annovera oltre due milioni di immigrati), si legge nella Costituzione, all’art. 41: “La scelta della professione, del mestiere e dell’occupazione, ma anche del luogo dove lavorare è libera”. Tra le libertà e i diritti fondamentali, vi è quella alla famiglia. Lo è? Vi sono queste libertà? Si hanno entrambe le libertà o l’una esclude l’altra?
Analizzando brevemente la storia recente della Romania, si scopre che l’interrogativo non è nuovo. Durante il periodo comunista, le persone si spostavano verso i cantieri dove era richiesta mano d’opera, lasciando le famiglie per settimane. La differenza tra quegli anni e l’oggi? Spesso erano i padri a doversene andare, le madri restando accanto ai figli, per accudirli, proteggerli, abbracciarli nel cuore della notte. Oggi se ne vanno le mamme, il più delle volte, o entrambi i genitori, e i figli sono affidati alle nonne, nel migliore dei casi, o alle zie, alle bisnonne, alla vicina o al fratello maggiore, costretto a crescere da un giorno all’altro.
E i primissimi effetti si leggono sui volti svogliati di ragazzini disinteressati dalla scuola, con sguardi sfuggenti, mentre si isolano sempre di più, dagli altri, dal mondo, o li si ritrova pervasi dal desiderio irrefrenabile di mostrare la propria forza attraverso il denaro ricevuto dai genitori partiti per lavorare all’estero.
Le conversazioni tra madre e figlio avvengono via telefono o skype, ed è come trovarsi in una zona in cui non si possono toccare tasti dolenti o le ferite aperte che si cerca di nascondere e ignorare. Esternare il proprio dolore e la tristezza, lo si evita per non provocare lacrime e accuse. E non si dice ai figli nemmeno di amarli, se non tra i saluti finali, colpa di qualche imbarazzo a causa di uno schermo che rende le parole fredde. E i figli si convincono che l’affetto ha un prezzo, può avere la forma di un telefono, un’automobile, un abito firmato. Certe volte, però, i figli esagerano, e i genitori perdono la pazienza. E allora indossano i panni dell’educatore e attraverso lo stesso schermo cercano di raddrizzare il comportamento del figlio, ricordagli di dare al denaro il suo giusto valore. “Continui a spendere, quando io mi spacco la schiena tra gli stranieri!” si sente la voce metallica del genitore. La risposta, però, agghiaccia la madre tornata a far la genitrice a distanza: “Non te l’ho chiesto io di andarci”.
Accade pure che i genitori, lasciato il loro paese dal futuro sempre più incerto e dalle prospettive anguste, si sentano soffocati dalla realtà da dove sono partiti e limitino il ritorno in patria a pochissime volte all’anno. Sono estranei nella propria casa. E i figli crescono: da soli e indipendenti. Indipendenti e freddi.
A loro volta, questi figli, divenuti adulti, avranno la loro famiglia e perpetueranno l’esempio: ai figli, preferiranno la carriera, i soldi. Avvalendosi della stessa libertà di lavorare, faranno le loro valigie e, da una casa straniera, parleranno attraverso un telefonino di ultima generazione col figlio rimasto a casa in sua attesa.
Le soluzioni, per ora, appaiono più che altro un miraggio, come se si cercasse di tamponare la fame di chi ha digiunato per mesi con una fetta di pane secco. Ci sono, tuttavia, associazioni che cercano di ricucire i rapporti tra genitori e figli, con la speranza che gli Stati interessati e gli enti comunitari volgano i loro sguardi verso lo sfilacciarsi della società, partendo proprio dalla sua base: la famiglia, dalle sue libertà fondamentali, dai suoi diritti in quanto esseri umani, prima ancora che cittadini.

Irina Turcanu
Scrittrice e giornalista rumena

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