Apposita indagine ministeriale ha appurato che il recente blocco ferroviario nazionale partito dalla stazione Roma Termini è stato causato da un chiodo piantato sul muro di una cabina elettrica che ha forato un cavo elettrico, causato anche da apparati vecchi di decenni e dal mancato rinnovo del canone di abbonamento (€ 20) per la trasmissione radio dei dati di allarme.
Giustamente è stato osservato che ancora una volta la manutenzione risulta trascurata nel nostro Paese.
Vorrei aggiungere che la trascuratezza della manutenzione non è difetto secondario o pittoresco bensì è strutturale tanto è vero che non riguarda certamente solo le ferrovie bensì ogni settore. C’è proprio riluttanza ad impegnarsi sulle manutenzioni delle strade, delle altre infrastrutture, attrezzature, reti, aree verdi, opere pubbliche e edifici pubblici.
Il motivo è semplice: la manutenzione, in quanto puntuale, frazionata, specialistica -e priva di gloria mediatica, non consente lucro considerevole (differenza tra la somma stanziata e l’effettivo costo dell’intervento). La politica quindi preferisce di gran lunga opere nuove e possibilmente grandi, di grande costo, che viceversa consentono lucro molto più apprezzabile grazie alla sistematica discrepanza tra progetto esecutivo e effettiva realizzazione. Per questo nei molti scandali che si susseguono circa brutti esiti di opere pubbliche, tutto il clamore mediatico evita accuratamente di imputare direttore dei lavori e rup (responsabile unico dei lavori), che quella discrepanza garantiscono in favore della politica (fondi neri), che poi li ripaga con quei posti di grande responsabilità (e grande stipendio).
A dire il vero dal resoconto ministeriale emerge anche la trasandatezza di uffici che al costo di pochi euro dovevano rinnovare l’abbonamento radio. Ma, appunto, se non è la manutenzione il core business dell’ente pubblico, anche la trasandatezza è funzionale al vero scopo: il massimo lucro (finanziario e politico) sul denaro pubblico.
Questo meccanismo, così radicato che potremmo definire socioeconomico, spiega perchè città e metropoli pur con nettezza urbana penosa, con strade sistematicamente prive di marciapiedi oppure occupati da veicoli in sosta, prive di aree verdi godibili poichè trascurate, con edifici pubblici sedi di servizi pubblici sgarrupati o privi di confort, prive di trasporto pubblico efficace, siano capaci di lanciarsi con garrula acribia in progetti mirabolanti e grandiosi del tutto non indispensabili come olimpiadi, giubilei, nuovi stadi… Che ovviamente quando vedono la luce devono convivere con le penose scene urbane prima accennate.
Nel trascorrere placido dei decenni si è formata nelle cento città, venti regioni, nei ministeri e organi centrali dello Stato, la triade invincibile tra Partiti, Funzionari, Imprese ammanicate, che piega a sè tutto il denaro pubblico, sempre più ne vuole e ne consuma, ma le città restano penose in confronto alle nazioni europee comprese diverse che un tempo potevamo guardare dall’alto in basso. I trasporti pubblici di Ankara risultano nettamente migliori che a Roma.
Ma non c’è scampo, si pensi al Pnrr, ben trecento miliardi da spendere sull’unghia, a debito ovviamente. Se avessimo una classe dirigente libera (politici e funzionari), avremmo colto l’occasione per rimediare lagnanze ricorrenti e incancrenite quali gli acquedotti bucati, centrali energetiche (nucleare) per una sufficiente indipendenza nazionale, impianti adeguati per i rifiuti (inceneritori a recupero energetico), trasporti pubblici efficienti per sgravare le città, messa in sicurezza idrogeologica del territorio e sisimca almeno degli edifici pubblici (le scuole in primis). Sarebbe stata strategia perfettamente rispondente al criterio del rilancio e resilienza (cioè capacità di generare benefici a loro volta capaci di ripagare il debito), ma esaminando con attenzione le opere della mia regione (che non credo faccia eccezione), ho stimato che l’80% delle opere realizzande non avrà alcuna capacità di generare direttamente o indirettamente benefici economici oltre il mero cantiere di costruzione.
Addirittura ho notato che con l’occasione del pnrr sono stati riesumati progetti a suo tempo scartati però ora adatti a rispettare la scadenza del 2026, unico vero criterio seguito dalle istituzioni preposte.
Istituzioni che da tempo -in verità- non sono più pubbliche se non nell’onere collettivo che appioppano agli italiani, bensì sono sistematicamente piegate agli interessi di quel grumo Partiti-Funzionari-Imprese ammanicate, che tutti assieme formano effettivamente un gran numero di persone però integrano il paradosso del furto sistematico del denaro pubblico tramite la mistica dello Stato, i cui organi, decisioni e meccanismi sottostanno sì a formali controlli, però non negli esiti e risultati effettivi, non nel bilancio tra costi e benefici; nè se ne curano l’opinione pubblica e l’informazione, che accettano senza battere ciglio anche i fallimenti più clamorosi di infrastrutture e opere pubbliche, subendoli fatalisticamente come si subisce un temporale.
Luigi Fressoia
architetto e liberale a tutto tondo, inizia così la sua collaborazione con Libertates