Dopo decenni di democrazia “bloccata” credevamo di essere diventati un Paese normale, dove destra e sinistra potessero alternarsi al potere come avviene in tutte le democrazie compiute. Ma era solo un’illusione. Paghiamo il peccato originale di non aver riformato il sistema, dalla A alla Z, scrivendo daccapo le regole del gioco e prevedendo i necessari pesi e contrappesi. Qualcuno si era illuso di poter cambiare il Paese semplicemente con una nuova legge elettorale. Ma, dal Mattarellum al Porcellum, abbiamo visto i risultati. L’unico sistema di voto che ha dimostrato di funzionare bene, quello per l’elezione dei sindaci, i nostri politici si sono guardati bene dall’adottarlo anche per il parlamento e dunque per la scelta del governo.
Ma c’è un elemento ancor più grave da sottolineare: il vecchio sistema dei partiti della Prima Repubblica, con tutti i suoi difetti se non altro prevedeva dei meccanismi di selezione della classe dirigente. Quello nuovo decisamente no. L’esempio più alto del degrado politico italiano è il parlamento dei nominati, con i partiti che invece di selezionare i migliori premiano i peggiori, persone (spesso non qualificate) il cui unico merito è quello di essere votati ad una cieca obbedienza.
Inutile farsi l’illusione di poter risolvere i problemi facilmente.
L’unica medicina utile, da assumere con dosi da cavallo, è quella delle primarie per la selezione dei candidati e, dunque, dell’intera classe politica. Intendiamoci: le primarie non sono la panacea di tutti i mali. Anzi, in alcuni casi possono produrre vere e proprie turbolenze (vedi gli scossoni in casa Pd). Ma i benefici che se ne traggono sono molteplici. Ad esempio riavvicinare i cittadini alla politica. Oppure, molto semplicemente, rinnovare la classe dirigente in modo democratico e (più) meritocratico. Un sistema politico autoreferenziale come quello attuale, del tutto piegato su se stesso, non è in grado – e gli ultimi venti anni lo dimostrano – di rinnovarsi.
Senza le primarie l’unica spinta propulsiva che rimane ai cittadini è rappresentata dal voto di protesta, quasi sempre sterile e assolutamente non in grado di produrre alcun reale cambiamento.
Orlando Sacchelli