Essere o non essere: ecco il dilemma. William Shakespeare dixit.
E’ uscito su Iris Mediaset il film imperdibile “Guardia del corpo” con Kevin Costner e Whitney Houston, l’intramontabile star della canzone che tutti conosciamo, morta per overdose a 48 anni nella vasca da bagno di un hotel a Beverly Hills. Si tratta di una persona estremamente misteriosa e “cara agli dei”, come direbbe la psichiatra Liliana Dell’Osso la quale conosce il tema.
Whitney Houston? Non è mai esistita. La sera della trasmissione della pellicola The bodyguard ci si accorge ad uno sguardo attento che tutti gli attori da Kevin Costner in giù (forse davvero innamorato di Whitney), sono presenti a ciò che fanno con la “consapevolezza dello sguardo”, che non è un dettaglio da poco: è la rivelazione del cosmo.
L’unica persona che non è mai – dicasi mai – presente a ciò che sta facendo. poiché è sic et simpliciter assente. è la bellissima, travolgente Whitney, un complesso “geroglifico vivente”: cioè un soggetto separato dal contesto in cui si muove, prevalentemente (anzi unicamente) per capacità imitative con “spettro di Asperger”: il disturbo dello spettro autistico ai confini della schizofrenia. Ma non basta. Perché c’è di più. La “menzogna dello sguardo” (splendida definizione sempre della colta Dell’Osso) che possiamo ritrovare tanto nell’artista Whitney quanto in Zelda Scott Fitzgerald, morta schizofrenica a 48 anni. Cioè lo sguardo evitante tout court nel trucco o nell’imbroglio dell’iperempatia: “Il paziente bipolare è, come lo schizofrenico, separato dal contesto in cui sembra immerso”. Si può tracciare in questo senso un agile parallelismo tra la mademoiselle Coco Chanel, per fortuna non finita male, e l’icona immortale Whitney utilizzando a esempio la sinossi della psicobiografia di Coco fatta dalla triade Dell’Osso, Muti e Carpita. Le loro parole valgono per Whitney:“L’icona ambigua –… la serie di scatti realizzata per Vogue nel dicembre 1953 rappresenta un’anomalia interessante nell’ambito della sua produzione. Il soggetto rappresentato è Coco Chanel, in piedi sulla scala del suo atelier parigino, al numero 31 di Rue Cambou. Una donna di mondo, potente e affascinante, che doveva la sua fama, nonché la sua fortuna, a una brillante carriera nella moda a contatto con gli strati più elevati della società…E’ una foto che solletica l’immaginazione, tanto dello storico quanto dello psichiatra. I materiali sulla vita di questa donna assomigliano alla foto scattata da Doiseneau: prospettive, interpretazioni, spigolature. Abbiamo soltanto frammenti di biografia, immagini vivide ma incomplete, in cui l’autentico e l’apocrifo sono commisti e, spesso, indistinguibili…Coco è la donna di cui Gabrielle narrava, spesso inventando, la storia, nonché un protagonista del libro di Paul Morand L’allure de Chanel…
Chi è dunque il fantasma sulla scala? Forse Gabrielle, nella sua autenticità, non costretta a interpretare mademoiselle Coco? Oppure è Coco, maschera e personaggio, che supervisiona l’esibizione dei prodotti Chanel? Lo scatto di Doisenau congela fuori dal tempo questo luogo di incertezza, questa fitta foresta di simboli su cui riflettere. Eppure, pur indicando la direzione da seguire, il fotografo ha lasciato intatto il mistero”.
Ps – La menzogna dello sguardo rimane integra, al netto della “scissione” tra Coco e Gabrielle.
Diciamo la verità: forse la schizofrenia può portare molto in là, o anche in rovina.
Molto dipende dallo Zeitsteil: la fortuna, lo Spirito dei Tempi, l’avversione o il sostegno degli Dei.
Whitney Houston e Coco Chanel a confronto. Ma è davvero così terribile la vita?
Oh potenze celesti…
I will always love you.
di Alexander Bush