La Premio Nobel “bielorussa” è una creatura di Berlino e Mosca

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Quando anche l’assegnazione di un Premio Nobel diventa occasione di politica: quale accordo ci fu tra Germania e Russia?

Il Premio Nobel per la letteratura di quest’anno lo ha ricevuto la signora Svetlana Alexievich. residente a Minsk, capitale della Bielorussia. Questa signora scrittrice (nata in Ucraina nella famiglia di un ufficiale sovietico) vive da noi, ormai da decenni, eppure finora non è stata in grado di scrivere o pronunciare due parole nella nostra lingua bielorussa. Così questo premio prestigioso, assegnato in nome della letteratura bielorussa, lo ha ricevuto un personaggio del “mondo russo”.
Ecco alcuni citazioni della Alexievich (espresse e scritte prima del Premio Nobel):

“Si, io scrivo solo in russo e mi considero anzi una rappresentante della cultura russa. La lingua bielorussa è molto rustica e non è matura per la letteratura”.
(Intervista per Frankfurter Allgemeine Zeitung, il 20 giugno 2013)

“Io non sono una schiava della cultura bielorussa, sono una persona libera”.

“Le mie opere rappresentano la storia della mia anima – dell’anima russa, più precisamente – dell’anima russo-sovietica).
(L’autobiografia di S. Alexievich)

C’è un elemento curioso in questo personaggio. Il giorno del trionfo della Alexievich a Stoccolma gli impiegati di tutte le istituzioni tedesche in Bielorussia hanno festeggiato fino a notte fonda questa loro vittoria. Infatti è noto che da tanti anni la Alexievich è appoggiata dalla Germania, sia in senso finanziario che pubblicitario. Come mai? La letteratura purtroppo è diventata in questo caso un affare politico. Bisogna risalire all’indietro nel tempo, quando Berlino ha concluso – ancora con l’allora presidente Boris Yeltsin – un trattato segreto. In base all’accordo, la Germania avrebbe dovuto riavere la Prussia Orientale (la regione di Kaliningrado nella Russia moderna, un tempo tedesca con capitale Koenigsberg)) e la Russia in cambio ricevere il via libera per riottenere la Bielorussia. Una faccenda trattata direttamente dai due imperi, che di conseguenza hanno maturato un interesse comune riguardo al nostro Paese e alla sua effettiva indipendenza.
Come conseguenza, la Germania ha fatto di tutto per screditare la resistenza nazionale bielorussa all’imperialismo russo, per screditare la nostra cultura, lingua e nazione (“rustica, sottosviluppata, non esistente”). E naturalmente Berlino ha appoggiato da allora il regime di Lukashenka nell’arena internazionale. Centinaia di ufficiali delle forze speciali della polizia di Lukashenka hanno completato l’addestramento in Germania, e via di questo passo. Svetlana Alexievich, infine, è stata usata dai tedeschi come esempio: per dimostrare che in Bielorussia esiste soltanto una vera cultura, quella russa, e che si può esprimere la propria anima solo in russo.
Prima di ottenere il Nobel, la Alexievich ha preteso di prendere parte in patria al dibattito politico. E prontamente ha pronunciato dinnanzi alla stampa tedesca la sua famosa sentenza: “Lukashenka è un bravo ragazzo!” Ho tradotto quell’articolo, e naturalmente da noi, in Bielorussia, la frase ha provocato un’ilarità generale. La Alexievich ha continuato su questo tono, pronunciando vari elogi al regime: “Sotto Lukashenka il popolo bielorusso vive molto bene, certamente meglio che nel periodo sovietico. Ogni famiglia ha una macchina. Tutti sono contenti…” Purtroppo queste falsità sono state prontamente diffuse in Occidente. Ma non c’è da stupirsi. Sono tanti anni che la Alexievich inganna l’opinione pubblica. E’ sostenuta, insomma, per svolgere quest’attività vergognosa.
Se proviamo a leggere i suoi libri, in russo, potremmo definirli appartenenti al genere della “letteratura di fatto”: non hanno niente di comune con le belle lettere, la vera letteratura.
Dopo aver ottenuto il Premio, la Alexievich ha cambiato il tema e il lessico dei suoi discorsi. Adesso dice che ama il nostro popolo, che protesta contro l’oppressione della Bielorussia, eccetera. Si comprenderà, credo, come noi bielorussi non nutriamo alcuna fiducia in questa trasformazione improvvisa e artificiosa. E come potremmo, dal momento che il denaro tedesco è servito a diffondere fra i critici letterari e i giornalisti di molti paesi europei l’immagine della gloriosa “lottatrice contro le dittature di Lukashenka e Putin”, “un’espressione della tradizione bielorussa”? La campagna a suo favore è artificiosa, oltre che ben remunerata. E le bugie continuano.
Nel contesto di questa crisi della coscienza europea noi ricordiamo come le nostre élite culturali hanno presentato invano per anni la candidatura del grande scrittore Vasil Bykau (1923-2003, chiamato “l’ultimo realista dell’Europa”) al Premio Nobel. I nemici del nostro Paese hanno fatto di tutto per non permettere il trionfo della vera letteratura della nostra nazione e della nostra lingua. Purtroppo oggi loro sono lieti del loro successo, basato sull’ipocrisia.

Valery Buival

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