Ma è proprio vero che Dell’Utri è colpevole (dal punto di vista penale)?
Mentre sto scrivendo alla giovane età di 29 anni – ma vissutissima, forse anche troppo – l’ex on. Marcello Dell’Utri, uno dei più autorevoli bibliofili di questo Paese e fondatore della più importante concessionaria di pubblicità nella storia dell’Occidente, ancorché a metà strada tra capital venture e cosiddetto “metodo Sindona” (soprattutto a causa della devastante pressione del consociativismo catto-comunista che ha permesso la nazionalizzazione strisciante del piccolo-borghese Enrico Mattei, ma ha spezzato le ali alla “via italiana” al capitalismo renano dell’imprenditore romantico Raul Gardini), rischia la vita all’interno del carcere di Parma. Causa: somatizzazioni psico-fisiche quasi insostenibili. Ma non basta: è imputato – dopo essere stato condannato per un reato semanticamente vuoto come il concorso esterno in associazione mafiosa con la violazione ai sensi dell’art. 192 del codice di procedura penale del“principio della convergenza del molteplice” alla base dello stesso maxiprocesso e la tentata corruzione in atti giudiziari del teste d’accusa Ciancimino junior, per la violazione dell’art. 338 del codice di procedura penale: “attentato a corpo politico, giudiziario e
amministrativo dello Stato”.
Ma non basta: la Procura di Palermo gli ha sottratto 21 milioni di euro ottenuti con la vendita della sua villa sul Lago di Como all’amico di una vita Silvio Berlusconi, perché (a suo dire) si sarebbe trattato di un’estorsione ai danni dell’imprenditore e “committente finale del papello di Totò Riina”. Dunque Dell’Utri è in carcere, ed è tecnicamente povero, poiché con questo escamotage diabolico che è l’apertura del famigerato“fascicolo investigativo a tempo indeterminato” su un’ipotesi di estorsione negata dallo stesso Berlusconi (sic!) le movimentazioni finanziarie nei suoi conti correnti sono bloccate sine die… E c’è da prevedere, per essere quantomeno realisti nel Paese di Niccolò Machiavelli versus Adam Smith che, ancorché in primo grado, Dell’Utri si beccherà una condanna mediaticamente esemplare ma giuridicamente creativa a 9 anni di reclusione (sic!).
La verità, al contrario, nella “negazione delirante” della giustizia con giurisprudenza che piaceva quasi soltanto al più rigoroso e preparato magistrato d’Italia quale era Corrado Carnevale, è la seguente: sotto la cabina di regia di Scalfaro Capo dello Stato, la trattativa, l’appeasment con Cosa Nostra ha aperto la strada proprio a Berlusconi e Dell’Utri (sic!) i quali dunque – senza azzardare nessun giudizio di assoluzione o colpevolezza nei loro confronti – hanno raccolto un segreto di Stato come “utilizzatori finali” dell’inviolabilità di un documento strictly confidential. Oscar Luigi Scalfaro sapeva quanto è stato accertato dalla memoria accusatoria depositata al gup Morosini per il cedimento dello Stato al programma giudiziario della Commissione di Cosa Nostra: il “papello” era il prezzo necessario in cambio della fine delle stragi, cioè la democratizzazione della mafia per ottenere la sospensione dei suoi progetti omicidiario-stragisti. Scalfaro lo sapeva, e accettò di prestarsi al gioco grande della trattativa come è messo nero su bianco nelle venti pagine depositate al giudice dell’udienza preliminare di Palermo.
Tradotto: Dell’Utri sta consumandosi in carcere per aver svolto – che sia simpatico o meno – i suoi doveri di pubblica funzione finalizzata alla tutela della sicurezza nazionale nel mandato statuale trattativista ricevuto nientemeno che dal Presidente della Repubblica di allora. La domanda è: siamo un Paese di pazzi o di scemi?
di Alexander Bush