La sindrome Cagliàri non passa

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I “partiti corrotti” sono un male necessario? Il parere del figlio di Cagliari

Lo scandalo gigantesco di Moscopoli avviene sullo sfondo dell’“ideale della società chiusa” già denunziato dal filosofo pratico George Soros, polytropos del genio: l’apologia dell’autarchia.
E’ triste constatare – in questa nostra Repubblica delle Banane che sembra non toccare mai il fondo – che anche il Venerdì de “la Repubblica” dia spazio alle idee dei complottisti su Mani Pulite. Il 16 marzo 2018 è uscita una lunga intervista di Andrea Greco, già autore de “Lo Stato parallelo – la prima inchiesta sull’Eni da Mattei a Renzi” a Stefano Cagliari, figlio dell’ex capo dell’Eni Gabriele Cagliari arrestato per corruzione nel 1993 e che si tolse la vita in carcere, il quale sposa in pieno la visione mussoliniana della “demoplutocrazia anglosassone” che attacca l’Italia (non si sa bene perché), rivelando però che suo padre era stato l’enfant prodige all’Eni di Enrico Mattei: l’unico fatto utile a comprendere perché Gabriele Cagliari si rovinò in quel modo interiorizzando poco più che ventenne i “complessi cubani del petroliere senza petrolio” Mattei (vedi il formidabile Indro Montanelli); nonchè fondatore di Tangentopoli e che al disgraziato manager rampante del Garofano anti-mercato è toccato in sorte di legittimare fino in fondo mentre crollava sotto la “campana di vetro” dell’ideologia: il suicidio fu l’inevitabile risultato: “Io ci ho messo 25 anni a superare quel che accadde nel 1993, e non bastano. Ho iniziato a staccarmene dal maggio 1993 con otto anni di psicoanalista, poi è morto anche lui e ho smesso”.
Con il buonismo, sinceramente, non si va da nessuna parte: otto anni di psicoanalisi sembra che non siano serviti un granché a Cagliari junior:“… la spallata degli Usa che non sopportavano più Craxi, quella del salotto buono capitalista che non sopportava più i cosiddetti “boiardi”. Mio padre aveva capito tutto e non ha voluto essere più complice di quel sistema”. Una spiegazione romantica e suggestiva, senz’altro, ma poco realistica: i processi a Bettino Craxi furono illegali – e chi scrive non esita a dirlo – perché tramite l’estorsione al “mariuolo” del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa dei pm milanesi e il metodo delle “finte rogatorie” descritti da Ferdinando Cionti, il Cinghialone di Hammamet venne costretto a fuggire dall’Italia: per finanziamento illecito, non per corruzione – per mezzo del fumus persecutionis. Ma i socialisti rubavano come nella Russia di Andropov, vampirizzando la libertà d’impresa che è l’essenza stessa della democrazia tout court. Continua Stefano Cagliari in quella che è una confessione inconsapevole: si arriva addirittura a rubare nella “servitù volontaria” dell’ideologia (sic): “A mio padre, manager tra i migliori che l’Italia abbia avuto nell’energia, non importava dei soldi: di ogni aspetto materiale s’occupava mia madre Bruna, che credo sia stata l’unica ad avere restituito il doppio di quella tangente (6 miliardi, ndr), perché essendo investita in dollari fruttò una notevole plusvalenza. Mio padre, un ragazzo di Enrico Mattei come lui considerava i partiti un male necessario, un effetto collaterale per costruire la rete di accordi internazionali su cui imperniare la sua strategia forte”. Gli ribatte Andrea Greco: “Scusi ma quale strategia, se è provato che le tangenti finiscono per rovinare le aziende e l’Eni dei partiti non fece eccezione?”“La stessa che poi Franco Bernabè e i successori hanno realizzato: internazionalizzazione e focus su produzione e sviluppo di idrocarburi. Le tangenti per mio padre erano lo scotto da pagare per essere a capo dell’Eni con un’idea aziendale forte, sperando che il regime dei partiti prima o poi cadesse;“Eravamo tutti convinti che il regime non poteva durare”, ha scritto dal carcere. Invece si è trovato lui sotto la prima colonna che crollava, una volta pentito… l’Eni era la cosa a cui più teneva e che ha voluto preservare fino in fondo”.
Questo era il problema, caro Stefano: Cagliari era convinto da “ragazzo di Enrico Mattei” che la guerra alle Sette Sorelle fosse utopicamente sovraordinata al “male necessario dei partiti corrotti” e che il bonapartismo arabista dell’Eni fosse del tutto estraneo allo stesso meccanismo sovietico dei partiti disgregatisi: siamo in presenza di un narcisismo inaudito e di un idealismo fanatico! Suggerisco a Stefano Cagliari – otto anni di psicoanalisi non lo hanno liberato evidentemente dal complottismo – la lettura di un vecchio pezzo di Marco Travaglio “Altro che Cia, quelli rubavano” (Travaglio manipola i fatti, ma non in questa circostanza). E si suicidavano. Più Ronald Reagan, meno Gabriele Cagliari. E così non si rovinano aziende e famiglie. Tutto chiaro adesso?

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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