“Per Albatros un articolo di Dario Fertilio sul nuovo (vecchio) cominformismo: aboliamo le diversità”.
Che cos’hanno in comune le varie proposte sociali che la sinistra, da Prodi a Renzi, lancia periodicamente agli italiani? C’è un filo (rosso, naturalmente) che collega l’idea di abolire progressivamente il cognome di famiglia, equiparare le unioni omosessuali a quelle naturali, introdurre in Italia lo “ius soli” che garantisca a chiunque sia nato o approdato in Italia la cittadinanza, abolire il reato di clandestinità in modo da creare anche ufficialmente una società multietnica. Questo filo rosso si chiama: “abolizione del passato”.
Ci aveva già pensato Orwell, naturalmente, a prefigurare una società simile nel suo distopico romanzo “1984”. Una volta abolito il passato, si doveva ricostruire il presente creando un uomo nuovo, a cominciare dal linguaggio, e facendolo regolare da un Grande Fratello.
Ma questo nuovo Grande Fratello, nato sulle macerie del socialismo reale, oggi è già fra noi: si identifica con un’ideologia apparentemente molle e permissiva, in realtà dall’anima dura e autoritaria, il “cominformismo”.
Il cominformismo – che in realtà non è solo di sinistra, se non nel senso che intende imporsi gramscianamente come senso comune anche agli altri, perché incerti o impreparati a combattere – si riconosce di primo acchito. Perché anzitutto, appunto, mira a cancellare il passato.
Poi perché, pur sostenendole a parole, odia le differenze.
Odia la differenza di ruoli fra uomini e donne, a cominciare dal linguaggio che le esprime.
Odia le differenze fra chi ha un orientamento sessuale naturale verso il genere opposto (sì, naturale, almeno sinché esisterà una natura umana) e chi invece a causa di un suo personale disturbo dell’identità non sa uscire dalla sfera dell’uguale.
Odia e punta ad abolire (mediante lo “ius soli”) la differenza fra chi viene da una cultura, italiana ed europea, e come tale è cittadino italiano; e chi è portatore di altre pur degnissime culture (dalla cinese a quelle americane o africane) ma che tuttavia sono allogene, e dunque devono compiere un percorso di adattamento per integrarsi. E che, in genere, rivendicano per prime – e giustamente – le proprie diversità.
Odia l’idea stessa di valori comuni riconosciuti, e collanti di una società – ciò che è andato sedimentandosi attraverso il tempo e le generazioni – per sostituirlo con riti esteriori e pseudoreligioni laiche.
Qual è il fine non dichiarato di tutte questi odi ideologici? Anzitutto, quello di intimidire e colpevolizzare il dissenso: chi non si piega alle idee cominformiste viene dichiarato non “civile”. Quindi, una volta imposta l’atomizzazione della società mediante l’abolizione delle differenze, ecco emergere il vero obiettivo non dichiarato dei cominformisti: il controllo sociale. E qui, al posto dell’utopia andata a male del socialismo, ci si ispira al modello distopico di Orwell, naturalmente privato dello spirito critico dello scrittore, aggiornandone anzi la neolingua secondo prassi inedite: dove uguaglianza indicherà uniformità, progressismo significherà conformismo, l’equità si realizzerà mediante l’espropriazione, le “quote” di ogni genere realizzeranno nei fatti la soppressione burocratica delle vocazioni individuali, dei meriti, delle regole di mercato; una Unione Europea senz’anima né controllo democratico imporrà le sue linee guida attraverso élite autonominatesi.
Perciò, fate attenzione, cari amici di Libertates: la nostra non è una battaglia qualsiasi. Il pensiero e la cultura delle libertà che noi sosteniamo sottopone a critica radicale l’ideologia cominformista in tutti i suoi aspetti e prefigura – questo è un nostro vanto – una battaglia di civiltà, quella autentica.
Dario Fertilio