Dell’ormai celeberrimo studio costi/benefici per la TAV si è parlato fin troppo, ma vorremmo osservare come da studio serio e indispensabile sia a poco a poco diventato una specie di barzelletta.
Innanzitutto è da notare come il rapporto costi/benefici sia un elemento indispensabile per ogni decisione in campo economico; non solo per le grandi opere, ma anche per le decisioni di tutti noi: quando, ad esempio, vogliamo cambiare l’auto, tra le prime cose che facciamo, spesso inconsciamente, è proprio uno studio dei costi/benefici: ne vale la pena? Quali costi aggiuntivi andiamo a trovare? Quali benefici speriamo di avere?
Ma già da queste osservazioni possiamo notare due cose: lo studio costi/benefici è basato su calcoli probabilistici, su scenari futuri e quindi ha un grado di aleatorietà molto elevato, altro che precisione matematica; inoltre questo studio va fatto prima di cominciare qualcosa, non a opera già in corso. Prima valutiamo costi e benefici, poi, eventualmente, andiamo a firmare il contratto; non il contrario.
Nello specifico caso dello studio costi/benefici relativi alla TAV ci sono punti davvero strani:
- si è creata una commissione presieduta da un professore dichiaratamente anti TAV, che si è scelto quattro collaboratori a lui legati da rapporti di lavoro o di amicizia; addio collegialità e pluralità di opinioni, avrebbe fatto meglio a fare tutto da solo…
- si è fatto un calcolo relativo a tutto il tracciato Lione/Torino, quando il tratto di competenza dell’Italia, e quindi della commissione e dei relativi costi, riguarda neppure la metà. Sarebbe come se ognuno di noi per acquistare un appartamento facesse lo studio dei costi/benefici di tutta la casa.
- Si è calcolato nei costi le mancate accise incassate dallo Stato per il minore consumo di gasolio dei Tir e i minori incassi delle società autostradali. Mentre in tutto il mondo si investono miliardi per spostare il traffico pesante su ferro e ridurre l’inquinamento secondo la commissione tutto questo sarebbe semplicemente un costo. Senza poi far notare che un’esplicita norma UE vieta di computare le tasse (e le accise lo sono, eccome…) nei calcoli di costi/benefici.
Se si considera che (come da sempre sostiene Libertates) quello che manca in Italia sono proprio gli investimenti in strutture e non la spesa corrente si vede come un comportamento del genere sia non solo autolesionistico, ma anche antistorico. Infatti oltre 150 anni fa un certo Camillo Benso conte di Cavour impegnava il Piemonte in uno sforzo eccezionale per aprire un traforo, proprio lo stesso Frejus di cui parliamo oggi, che metteva in comunicazione il suo Piemonte, allora piccolo stato di second’ordine, con la Francia e il resto dell’Europa; ora invece l’Italia, uno dei più importanti stati della UE, fa di tutto per richiudersi in un provincialismo miope rinunciando a collegamenti con tutto il resto dell’Europa grazie ad una visione ideologica e di piccolissimo cabotaggio.
Ah se potesse tornare Camillo Benso!
di Angelo Gazzaniga