La politica della UE in campo migratorio è passata in questi ultimi anni da un fallimento all’altro: tre punti lo illustrano al meglio:
- la mancata modifica del trattato di Dublino. Trattato (stipulato non solo con l’accordo, ma su spinta del governo italiano di allora) che scarica sui Paesi rivieraschi l’onere dell’accoglienza e della prima assistenza ai migranti. Onere accettabile e giustificato quando erano poche migliaia ma che in presenza di decine di migliaia di arrivi crea una pressione non solo economica, ma psicologica e sociale su questi Paesi. Di questa modifica se ne parla da anni, chiacchiere tante, ma risultati nessuno: conviene a tutti che siano Italia e Spagna a sbrigarsela.
- La mancata attuazione dei piani di redistribuzione. È questo un corollario del trattato di Dublino: i migranti non vogliono arrivare in Italia, vogliono arrivare in Europa. Quindi sarebbe non solo opportuno, ma doveroso che vengano, una volta arrivati, redistribuiti tra i vari membri in funzione di vari parametri quali la popolazione complessiva, il reddito pro capite, le possibilità di accoglienza eccetera. Risultati: nessuno. Ad ogni arrivo di migranti si assiste a mercanteggiamenti e complesse trattative per smistarne qualche decina… I Paesi dell’Est (Ungheria e Polonia su tutti) si oppongono assolutamente a qualsiasi accoglienza; eppure esistono accordi e delibere della Commissione. La quale è pronta a sanzionare i Paesi (Italia in primis) che non si attengono alle regole di bilancio, ma nulla fa contro questi Paesi che pure sono tra i principali beneficiari di fondi UE (non dimentichiamo che l’Ungheria ricava da questi fondi il 4% del proprio Pil). Il motivo è semplice: questi Paesi sono il retroterra industriale di una Germania contro la cui volontà è inutile battersi in Europa.
- Le uniche mosse per evitare l’arrivo indiscriminato di profughi sono state quelle di promettere (e dare) fondi a quei Paesi che promettevano di trattenerli presso di loro. Risultato più che prevedibile, quello di offrire loro un’arma di ricatto potente: se non mi dai più soldi te li rimando tutti (vedi Erdogan); oppure quello di alimentare corruzione e disgregazione nei Paesi più deboli (vedi Libia)
A che cosa ha portato tutto questo: all’inazione politica, allo spettacolo deprimente di rappresentanti della UE che applaudono al confine la polizia greca che carica profughi (e non migranti economici) che fuggono da una Siria devastata da una guerra civile in cui è sempre brillata l’assenza di qualsiasi politica comune europea.
Occorre sempre più urgentemente una UE che abbia una politica estera (e non solo!) comune, che difenda quei valori che sono elemento fondante e caratterizzante dell’Europa: libertà, democrazia, diritti civili.
L’uscita della Gran Bretagna può essere vista come un’occasione unica: ritornare a una politica che non guarda agli interessi dei singoli Paesi o dei singoli partiti, ma che rilanci quella visione utopistica (forse) ma vincente, di quei politici, da Adenauer a De Gasperi che hanno saputo ricostruire un’Europa prospera dalle macerie della guerra.
Altrimenti il nostro destino sarà segnato: un continente con il più grande mercato, una tradizione culturale come nessuno, patria dei diritti fondamentali dell’uomo, diviso in tanti staterelli che guardano al propri interessi di bottega e che finiranno preda di una Cina (che estende sempre più la sua influenza economica), di una Russia (che fa quello che vuole senza alcuna opposizione, vedi Ucraina o Siria) o di un’America (che guarda sempre più al Pacifico che all’Atlantico).
Che non finisca per ripetersi la vicenda degli Stati italiani del Rinascimento, caduti senza colpo ferire di fronte alla “guerra del gesso” di Carlo VIII !
di Angelo Gazzaniga