I problemi dell’Italia emergono anche dalle piccole storie: come quella del fallimento dell’Agenzia per l’Italia digitale
La storia dell’Agenzia per l’Italia digitale (storia comica e drammatica assieme) è emblematica.
Questo ente (chiamato Agid) è nato nel 2012 (con il governo Monti) con uno scopo tanto nobile quanto indispensabile: favorire la modernizzazione dei processi operativi della pubblica amministrazione.
A tutt’oggi, come certifica la Corte dei Conti, non ha prodotto assolutamente nulla ed è costato ai contribuenti 10 milioni di euro: gli stipendi dei 130 dipendenti.
Lo stallo non è dovuto a problemi organizzativi o di budget o qualche altro strano impedimento: l’agenzia non funziona semplicemente perché nessuno è in grado di interpretare la frase che istituisce il Comitato di indirizzo: “Dai membri del Tavolo permanente per l’innovazione e l’Agenda digitale italiana”. Cosa significa? Che devono essere uno per parte o due per parte o tutti? Mistero irrisolvibile.
Ma cosa pensare di una burocrazia che crea norme che lei stessa non è in grado di interpretare? Che sia in uno stato di confusione e inefficienza tale da ritenerla praticamente fallita?
In verità qualcosa si potrebbe e si dovrebbe fare: sarebbe sufficiente riscrivere la norma (e magari cacciare chi l’ha scritta…). Ma questo, temiamo, susciterebbe resistenze da parte di una burocrazia intesa come casta svincolata da qualsiasi controllo, responsabilità o meritocrazia.
Ma (e questo è quanto noi di Libertates lo sosteniamo da sempre) cercare di fare delle riforme senza scontentare nessuno, senza colpire inefficienze o rendite di posizione è impossibile: sono anche queste piccole riforme (fattibili immediatamente e a costo zero) che permetterebbero all’Italia di ripartire
Giudoriccio da Fogliano