Bandiere, gonfaloni e fasce tricolori devono essere simboli di tutti i cittadini, non di un partito
La differenza tra un uomo politico e un uomo di Stato pare evidente: De Gasperi diceva che il primo pensa al proprio partito e il secondo ai propri cittadini. L’uno, potremmo aggiungere, difende gli interessi dei propri elettori, l’altro di tutti i cittadini.
Ma quando un politico è uomo di partito e quando è uomo di Stato? Come possiamo capire che un politico responsabile di una carica pubblica parla da politico (qual è) o invece da uomo di Stato (come rappresentante di tutti i cittadini)?
Uno dei metodi più sicuri riguarda l’utilizzo dei simboli della carica: la bandiera, il gonfalone, la fascia di sindaco. Essi non sono solo dei residui di un passato da dimenticare, ma rappresentano il segno, il simbolo di tutta la comunità.
È questa una caratteristica, tra l’altro, delle democrazie liberali: la commistione tra interessi pubblici e privati (“L’Etat c’est moi” dei re di Francia o la confusione tra patrimonio privato e beni pubblici) è tipica degli stati totalitari.
Ebbene, in questi giorni di scontro sulla proposta di legge Cirinnà abbiamo visto come in Italia anche questa semplice e scontata differenza venga tranquillamente trascurata: quando vediamo il gonfalone della Regione Lombardia sfilare nel Family day oppure il sindaco del Comune di Milano intervenire alla manifestazione Arcobaleno con tanto di fascia tricolore io, cittadino milanese da chi dovrei sentirmi rappresentato?
Dato che la fascia tricolore e il gonfalone regionale sono il simbolo di tutti, dovrei sentirmi a favore della legge Cirinnà come milanese e contrario in quanto lombardo?
In verità non mi sento rappresentato né dall’uno né dall’altro, al cospetto di questi politici che difendono le loro opinioni e i loro elettori utilizzando simboli che dovrebbero essere di tutti.
Alla faccia di quel senso di appartenenza ad una comunità e allo Stato, che dovrebbe rappresentare tutti.
Angelo Gazzaniga