Non c’è solo l’integralismo cattolico nella battaglia sulla legge Cirinnà
Un nuovo fantasma si aggira per il mondo… non il comunismo questa volta, ma l’integralismo dei diritti. Quante volte sentiamo ripetere, in tutte le salse, il medesimo slogan, maneggiato come una clava: “io mi batto per i diritti”, “bisogna affermare i diritti”, “la battaglia per i diritti è una battaglia di civiltà”, eccetera? Dichiarazioni che suonano bene, gratificano il palato, servono a far sentire dalla parte giusta della storia.
Ma c’è l’inganno. In realtà, il giacobinismo dei diritti è solo l’ultima versione del conformismo ideologico buonista. E che cos’è il buonismo se non una falsa coscienza di sè, che censurando la realtà e rimuovendo i propri stessi sentimenti profondi e inconfessabili, proclama al mondo non ciò che realmente siamo, ma come vorremmo apparire?
Lo slogan “diritti per tutti” è dunque, anzitutto, un autoinganno. Ma le sue conseguenze deleterie sono collettive. Infatti, presentandosi sotto forma di affermazioni perentorie, tautologiche, non bisognose di verifiche, contribuisce a diffondere disinformazione. Giacché, quando si salta alle conclusioni senza aver prima chiarito il percorso logico per arrivarci, si è nella migliore delle ipotesi un conformista, nella peggiore un manipolatore.
Dietro all’ideologia dei “diritti per tutti” si nasconde anzi un inganno doppio. Il primo: nessuno dice che, in realtà, più aumentano i nuovi “diritti”, più si restringono quelli “vecchi”. Se io stabilisco che l’aborto è un diritto e non una condizione di necessità, tolgo al nascituro il diritto incondizionato di vivere. Se io stabilisco che la famiglia può essere formata da due o più persone indipendentemente dal loro sesso, i nuovi diritti restringeranno automaticamente – a partire dal riconoscimento sociale, economico e fiscale – quelli della famiglia naturale.
Il secondo inganno amplia la portata del primo: la moltiplicazione utopistica dei diritti (uno, cento, centomila) porta alla cancellazione dei diritti in generale. Diritti per tutti, dal momento che nessuna società che non sia il comunismo realizzato può assicurare tutto a tutti, significa precisamente diritti per nessuno.
E qui è in agguato il passaggio successivo. Quando la moltiplicazione incontrollata dei diritti diventa insostenibile, ecco farsi avanti il Controllore. E questi, secondo la prassi giacobina, è lo Stato, il Governo, il Partito dominante. La sua scelta politica sarà quella di autorizzare, nella giungla dei diritti, quelli che lo spirito della Nazione e le folle plaudenti invocano nelle piazze (e nei parlamenti). Così, per via apparentemente democratica, si riduce la società ad atomi, individui manipolabili. Ed ecco nascere l’uomo nuovo, i cui desideri apparentemente sono legge, ma che in realtà si muove sotto l’ala del Grande Fratello. Un “uomo nuovo” nella realtà eterodiretto.
Quello che i giacobini dei diritti perseguono è, in realtà, l’abolizione della natura umana e del diritto naturale. Intendono cioè separare il diritto positivo – le leggi – da ciò che lo sostanzia, il diritto insito in ogni creatura umana, che si esplica primariamente nel vivere, scegliere e possedere. Cancellando questa base comune – e di conseguenza lasciando campo libero a ogni sperimentazione organica, psichica e sociale – trasformano la vita in una sfera della politica, dove le maggioranze legiferano con potere assoluto. E dove l’inizio della vita, come il suo termine, sono concetti modificabili e negoziabili.
Perciò, per smascherare e battere questo integralismo dei diritti, occorre anzitutto affermare in ogni sede l’importanza dei “valori non negoziabili”: non sul piano religioso – questo riguarda l’intima credenza di ogni singola persona – ma su quello della solidarietà e della libertà. E bisogna fare propria la bandiera dei veri diritti umani – cioè fondati su quelli naturali – contro l’integralismo dei nuovi giacobini, gli ingegneri sociali.
Dario Fertilio