Una difesa del liberismo: non confondiamo il liberismo con il buonismo e il lassismo di fronte al grande capitale e alla grande finanza
Avrebbe detto Indro Montanelli: Zygmunt Bauman è stato sopravvalutato. Tuttavia Montanelli aveva una lacuna inescusabile: non si occupava di economia perché non lo interessava, e le sue battute – come quella geniale su Herbert Marcuse: “Ma che cosa ha scritto Marcuse?” ad Alain Elkann– si limitavano alla brillantezza della superficialità. Quella del teorico della “modernità liquida”Bauman è stata una irresponsabile dichiarazione di guerra ad Adam Smith nella sua atemporale Ricchezza delle Nazioni, un attacco al Libero Mercato che oggi va troppo di moda ed è un rimedio peggiore del male alla crisi sistemica dell’Occidente: “Ecco il problema: la prospettiva di agire moralmente in un tipo di mondo che promuove e incoraggia attivamente l’egoismo e non è particolarmente propenso alla condotta morale, alla cura degli altri, sia vicini sia lontani, e resta quindi sordo allo spirito di fratellanza che si basa sull’accettazione della reciproca responsabilità, sulla mutua buona volontà, sulla comprensione, sulla fiducia, sulla solidarietà. Si potrebbe dire che questo problema costituisca la sfida più tremenda a cui ci troviamo di fronte nei nostri tempi di galoppante globalizzazione” (Homo Consumens, 2007) (da Agorà di Umberto Folena).
C’è un difetto concettuale ab origine nel ragionamento del prof. Bauman che ci ha lasciati pochi giorni fa: se la domanda aggregata del mercato comune europeo è mangiata dalla speculazione finanziaria che si traduce nella trappola mortale della “liquidità illiquida” dei mercati finanziari – più quantitative easing ricevono dalla Bce più trattengono il denaro destinato all’economia reale – come può esistere il consumismo? Se non esiste il consumismo che è la ragione principale della Grande Contrazione Globale del potere d’acquisto, come si può addirittura parlare di Homo Consumens? E’ una distorsione della logica nella narrazione mainstream, che si può spiegare con la chiarissima interpretazione dell’acuto giornalista Nicola Porro nel suo libro davvero interessante “La disuguaglianza fa bene – Manuale di sopravvivenza per un liberista”.
Punto primo: la globalizzazione è stata alterata da più di vent’anni dallo shadow banking (sistema bancario ombra basato sul collaterale della capitalizzazione), che scarica le perdite della predatoria finanza anti-capitalistica sulla collettività. Più che liberismo è statalismo!
Punto secondo: quanta nostalgia per la “distruzione creativa” di Adam Smith –cioè per la concorrenza leale tra capitalisti duri e puri, senza il “too big to fail” (troppo grande per fallire in relazione alle banche fallite). Nicola Porro lo spiega in una imperdibile lectio magistralis: “Uno dei bersagli preferiti dagli intellettuali di sinistra è il neoliberismo… Un neologismo che ormai anche il correttore elettronico non corregge più, per la diffusione che esso ha avuto. Spesso si usano suoi sinonimi: neoliberalismo o turboliberismo… L’antidoto è un libello, di una ventina di pagine, intitolato “L’invenzione del neoliberismo” di Alberto Mingardi. L’autore cita un articolo di Romano Prodi del 2013, intitolato “La Thatcher ha cambiato il mondo ma ha preparato la crisi globale. Sì, anche a decenni di distanza la responsabilità è del neoliberismo”. “A cadavere ancora caldo”, scrive Mingardi, “Prodi scaricò sulle spalle della Thatcher la responsabilità della crisi finanziaria… Al contrario proprio in quegli anni l’insider trading diventa reato, le assicurazioni sulla vita vengono regolamentate per la prima volta, e viene introdotta l’assicurazione obbligatoria sui depositi”. Ma Bauman adorava il birignao: “Provate un po’ voi in un dotto convegno o in un’aula universitaria a contestare il colpo di finanziarizzazione che sarebbe stato provocato dalla Thatcher, e verrete subissati dai fischi. Al contrario fu un presidente democratico e ben più prossimo alla crisi di cui parla Prodi, Bill Clinton, ad aver proceduto a mosse finanziarie che contribuirono a innescare le crisi finanziarie del 2008 negli Stati Uniti. Fu Clinton ad approvare il Gramm-Leach-BlileyAct, che cancellò il Glass-Steagall Act, uno dei capisaldi della separazione tra banche d’affari e commerciali e che reggeva da cinquant’anni.”. Da allora si può scommettere sulla rovina dei sub-prime.
La conclusione di Porro è perfetta a rigore di razionalità cartesiana:“Insomma semmai, per chi scrive, si tratta di una corruzione dei principi classici del laissez faire”. Più Mercato, meno buonismo. Prima della tragedia, se possibile…
di Alexander Bush