C’è un solo, inquietante e identificabile burattinaio, dietro ai fuochi artificiali delle Olimpiadi di Sochi, e ai fuochi di fucileria per le strade di Kiev. E’ un uomo di modesta statura, praticante di judo a San Pietroburgo, cacciatore di orsi in Siberia, aviatore e soldato, bevitore di vodka ed ex agente del Kgb in Germania Orientale, attuale presidente della Russia e recente restauratore dell’inno sovietico.
Il nome di quest’uomo non lo diciamo, lo lasciamo all’intuizione del lettore. La sua strategia invece è giusto commentarla. Da un lato, senza badare a spese, costui ha elevato i Giochi di Sochi a simbolo dell’accoglienza russa, a vetrina della sua efficienza, a conferma del suo ritrovato prestigio anche in campo sportivo. Dall’altro, ha autorizzato il suo uomo di fiducia in Ucraina, Janukovich, ad aprire il fuoco della repressione contri i patrioti che si battono per l’indipendenza del Paese, la democrazia e l’avvicinamento all’Europa. Scopo di quest’ultima mossa, concordata a suon di forniture di gas e petrolio, è quello di riportare l’Ucraina nell’orbita geopolitica di Mosca, riducendo al minimo le libertà individuali e d’impresa, il diritto alla dissidenza, la possibilità di alternanza al potere.
L’uomo di cui stiamo parlando appartiene a un tipo umano preciso: il nazicomunista. Nel senso che porta inscritto nel suo DNA il nazionalismo illiberale e statalista, unito all’uso spregiudicato della violenza e del terrore contro gli oppositori. Il nazicomunismo, una specie di mostro ideologico nato sulle rovine del socialismo reale, ma anche tributario per alcuni aspetti della virulenza nazionalsocialista, si è incarnato durante questi anni in vari personaggi sinistri: i più noti sono il serbo Milosevic, il bielorusso Lukashenko, i russi Zhilinovskij e Zjuganov, oltre a esponenti minori in Ungheria, Romania, Slovacchia eccetera. Nessuno di costoro, in realtà, progetta o ha dichiarato apertamente di volere un ritorno al comunismo; dell’ideologia marxista-leninista, infarcita di nazionalismo, costoro mantengono solo il nocciolo duro: il culto del potere e del controllo sociale, per il mantenimento dei quali tutto è lecito; la repressione metodica e brutale, occasionalmente interrotta da pause tattiche; l’inganno e la corruzione diffusi. Insomma, il progetto sul lungo periodo di simili personaggi è quello di assoggettamento totale dei cittadini; di uso del terrore (o della sua minaccia) come mezzo normale di governo. Ma lo stadio finale dell’ideologia nazicomunista, benché non dichiarata, è la stessa di ogni totalitarismo: la guerra. E’ il polemos greco l’anima del nazicomunismo, come quella del resto dell’islamismo. Illudersi di venire a patti con Janukovich, come con gli hezbollah, con i quaedisti o i “moderati” iraniani, significa equivocare sulla loro vera natura.
Ma anche nell’ambito del nazicomunismo esistono vari livelli di potere: Janukovich, così come Lukashenko, sono essenzialmente esecutori periferici, Milosevic è stato un feroce epigono. Ma al vertice di tutto c’è, appunto, l’uomo che ha diretto i fuochi artificiali di Sochi e quelli reali di Kiev, il burattinaio senza principi che non siano quelli del potere, l’uomo del Kgb che per definizione è senza volto. Protestare contro costoro si deve (e giustamente sul “Corriere della Sera” Bernard-Henri Lévy ha invitato al boicottaggio delle Olimpiadi di Sochi). Ma la vera partita, è amaro dirlo, ma anche giusto, si gioca sul campo di battaglia: le strade di Kiev. Una libertà che non sia stata conquistata a un qualche prezzo vale ben poco, e prima o poi si perde.
Dario Fertilio