C’era una volta un economista italiano, già commissario europeo per il mercato interno dell’Unione, che fu nominato senatore a vita da un presidente perché potesse presiedere un governo tecnico senza sentirsi accusare dai politici di professione d’essere un intruso nelle stanze del potere. Era uno strano animale, quel sig. Monti, caso più unico che raro di Premier nominato senza alcuna legittimazione popolare da un Capo dello Stato scelto anch’esso dai partiti. Come dire: sembrava che Giorgio Napolitano e lui stesso partecipassero alla prova generale di una futura Repubblica presidenziale (in cui il potere esecutivo è rigidamente separato da quello legislativo, il governo di solito non è formato da parlamentari e, in caso di sfiducia in una Camera, il Capo dello Stato può scioglierla).
A molti piaceva, questo sig. Monti: con il suo tono pacato così lontano dalle risse della Seconda Repubblica, più attento ai contenuti che agli schieramenti, preoccupato di ottenere l’appoggio di tutti i partiti, o quasi, pur di tagliare dove era necessario, e tassare dove era possibile, per risanare le finanze e riconquistare la fiducia dell’Europa.
Ma è avvenuta una strana metamorfosi. Lo stesso sig. Monti che sembrava anticipare una terza Repubblica presidenziale, improvvisamente è precipitato a capofitto nella Prima. Ha formato un “Centro” politico – che pretenderebbe di essere nuovo – con due vecchi marpioni del tatticismo partitocratico, Casini e Fini. Anziché cercare di raccogliere l’eredità di un periclitante Berlusconi, prendendo la guida del centro-destra (che gli era stata persino offerta) si è messo a parlare di “riformismo” senza contenuti precisi, strizzando l’occhio a Bersani, purché si liberi di Vendola… poi ad Alfano, purché si liberi di Berlusconi… nascondendo le intenzioni e fingendo di non dover allearsi né con l’uno né con l’altro…
Lo stile del sig. Monti è talmente nuovo da sembrare quasi antidiluviano: non sta forse rispolverando la vecchia politica centrista dei due forni? Cioè allearsi con chiunque pur di restare al potere?
E sentite un po’ come si è regolato all’interno del suo (si fa per dire) “rassemblement centrista”. Ha imposto a Casini un “patto parasociale” (chiamandolo proprio così) che prevede il 60 per cento delle candidature per i suoi, lasciando all’Udc il 30 restante e agli le briciole. Però: imponendo a Casini il 35 per cento delle spese elettorali. Così succede che l’Udc fatalmente perda peso e consensi, ma Monti e i suoi consolino il suo leader assicurandogli che invece guadagnerà consensi al Senato, dove la lista centrista è unica. Ed ecco calcoli matematici di terzo grado, per stabilire se alla fine Casini avrà dodici uomini tutti suoi a Palazzo Madama: un pacchetto di voti decisivo, nel caso Bersani dovesse averne bisogno per il governo. Geniale, onorevole Casini: così potrà inserire nelle trattative del futuro esecutivo Bersani-Monti la poltrona di presidente del Senato (per se stesso). Ma, ahi!, se fosse Monti invece a puntare alla stessa poltrona? Allora Casini proverà a convincerlo a sgomberare il campo per sostituire van Rompuy alla presidenza del Consiglio europeo…
Una cosa è certa: il Centro del sig. Monti, del “serio” Casini e del derelitto Fini è un concentrato di furbizie e tatticismi, e si scioglierà subito dopo le elezioni, come neve al primo tepore di primavera. Una sceneggiata pre-elettorale di cui si può dire soltanto: è il vecchio che avanza.
Gaston Beuk