Le recenti “disavventure” della giovane Silvia sequestrata in Kenya e poi rilasciata dopo riscatto in Somalia porta di nuovo alla ribalta il problema delle onlus “fai date”.
Il panorama delle associazioni di volontariato che lavorano all’estero o con rapporti con stati esteri è infatti quanto mai variegato: si va dalle onlus quasi istituzionali (quali ad esempio Medicins sans Frontières) con strutture, regolamenti e organizzazione quanto mai efficienti e funzionanti, alle onlus “pirata” con scopi più o meno truffaldini (basti pensare a quante delle 6000 onlus che sono sbarcate in Albania ai tempi della crisi) e a quelle “fai da te” come quella a cui apparteneva la ragazza sequestrata.
Sono queste organizzazioni poco più che familiari, a gestione improvvisata in cui la fanno da padrone entusiasmo, pressapochismo e scarsa conoscenza dei rischi e delle situazioni locali.
Ad esse appartiene, appunto, quella della ragazza sequestrata: la responsabile-fondatrice si era appassionata all’assistenza ai bambini kenyoti durante il viaggio di nozze, si era poi trattenuta a lungo in questo villaggio in cui aveva finito per sposare un capo; la ragazza era andata in questo villaggio senza nessuna preparazione, nessuna struttura d’appoggio o di riferimento, unica ragazza bianca nel giro di decine di chilometri: allo sbaraglio, insomma.
A questo punto alcuni hanno chiesto di vietare queste missioni rischiose (e costose per lo Stato che poi deve pagare un riscatto milionario) oppure di mandare solo appartenenti a strutture statali o simil-statali.
Secondo Libertates andrebbe invece applicata anche in questo caso quella regola aurea del liberalismo secondo cui allo Stato non tocca né disinteressarsi di queste attività nè gestirle in proprio; ma è compito suo quello di stabilire regole, paletti e limiti, controllarne l’attuazione e eventualmente punirne le violazioni.
In concreto: in questi casi lo Stato potrebbe richiedere la creazione di un albo delle onlus che operano all’estero, stabilire i luoghi ove non è opportuno inviare volontari da soli, stabilire che ogni onlus renda noto i nomi dei volontari e i luoghi dove eserciteranno la loro attività (come con gli inviati speciali dei giornali che devono informare sui loro spostamenti e tenerne informate le ambasciate), consigliare le misure di sicurezza opportune (tramite Ministeri e Ambasciate), rendere pubblici i bilanci, dare garanzie di informazione a tutela dei propri volontari…
In questo modo non si cancellerebbero i rischi o il desiderio di aiutare il prossimo di tante persone generose e si eviterebbe un caotico, costoso e spesso inconcludente sovrapporsi di iniziative “fai da te”:
di Angelo Gazzaniga