Le vere origini di “2001 Odissea nello spazio”

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Da Lombroso a Olivetti a Kubrick. Qual è il filo conduttore?

Segnatevi  bene  queste date. 1868, 1968, 1901 e 2001. Non sono messe a caso. Si tratta di mere coincidenze secolari di fatti apparentemente scollegati tra loro. Nel 1868 nasce Camillo Olivetti, fondatore di una dinastia  dell’industria italiana. Nel 1968 esce sugli schermi “2001 Odissea nello spazio” dell’immaginifico regista Stanley Kubrick. Nel 1901 Cesare Lombroso sulla “Lettura” (mensile del Corriere della Sera) pubblica un articolo   dallo strano titolo, “Le macchine alleate del pensiero”. Nello stesso anno nasce Adriano Olivetti, figlio di Camillo.
Andiamo per ordine. Camillo Olivetti   è un brillante laureato in ingegneria all’università di Torino alla fine del 19° secolo. L’ambiente intellettuale  di Torino   risentiva di forti influenze positiviste anche grazie all’antropologo Cesare Lombroso. Allievo di Galileo Ferraris nel 1893, Camillo lo segue come assistente e interprete negli Stati Uniti per incontrare Thomas Alma Edison, il primo imprenditore che seppe applicare i principi della produzione di massa al processo dell’invenzione. Il ragazzo di Ivrea rimane affascinato dal nuovo mondo e continua da solo il viaggio da Chicago a San Francisco.  Trova la realtà americana assai superiore a quella italiana dal punto di vista industriale. Come assistente di elettrotecnica alla Stanford University (novembre 1893 – aprile 1894), Olivetti ha modo di sperimentare in laboratorio le potenzialità e le diverse applicazioni dell’uso dell’elettricità. Tornato in Italia, decide di abbandonare la carriera accademica per  lanciarsi nell’imprenditoria.  Dopo vari tentativi commerciali  nel 1908 fonda nella sua città, Ivrea, uno stabilimento per la produzione di macchine per scrivere.  Il resto è noto a tutti. L’azienda decolla e si specializza nella produzione dell’automazione del tempo e di strumenti per l’industria aeronautica.
Il figlio secondogenito Adriano entra in azienda nel 1925  e ben presto lo sostituisce nella direzione dell’impresa con somma bravura. Nel dopoguerra Adriano Olivetti si lancia nella grande avventura dell’elettronica. Negli Stati Uniti  scopre un giovane talento, Mario Tchou.  Olivetti affida al giovane studioso italiano, di origine cinese, l’incarico di formare un gruppo di lavoro che, in collaborazione con l’Università di Pisa, aveva l’obiettivo di progettare e costruire un calcolatore elettronico tutto italiano, su suggerimento di Enrico Fermi. Nelle sperimentazioni fu decisiva la sostituzione, voluta da Tchou, delle valvole con i più veloci ed economici transistori; per l’armonia del lavoro di squadra, contò la personalità comprensiva e discreta di Roberto il figlio di Adriano. Si giunge nel 1957 alla costruzione di un prototipo e nel 1959 all’immissione sul mercato nazionale della classe di elaboratori ELEA (Elaboratore elettronico aritmetico). Tchou in seguito lavorò al più grande Olivetti Elea, il massimo supercomputer a transistor dell’epoca, costruito in 40 esemplari. L’improvvisa morte di Tchou, successiva di un anno alla morte prematura di Adriano Olivetti, decreta la fine del progetto Elea (il laboratorio-stabilimento fu in seguito venduto alla General Electric). Ma all’Olivetti non mancano nuove realizzazioni nel campo dell’elettornica grazie a Roberto.
L’Olivetti Programma 101, o P101, fu una delle prime, se non la prima, calcolatrice programmabile da scrivania al ondo,  antesignana del personal computer,  sviluppata  tra il 1962 e il 1964 e prodotta tra il 1965 e il 1971. Progettata dall’ingegner Pier Giorgio Perotto (in omaggio al quale assunse il nome di Perottina) insieme a Giovanni De Sandre e Gastone Garziera, alla presentazione della Programma 101( al femminile)  al BEMA di New York, nel 1965 molti visitatori sono convinti che le sue sorprendenti prestazioni siano dovute a un grande calcolatore nascosto dietro le quinte e che la Programma 101 non fosse nient’altro che un semplice “ripetitore”.   Perotto ai numerosi visitatori  propone “Angela game”, un gioco- sfida tra uomo e computer, una specie di partita a dadi che consiste nel raggiungere, senza oltrepassarla, una meta prefissata. Perotto è sconfitto dalla Programma 101 e lo speaker annuncia con enfasi ai visitatori: “la macchina ha di nuovo battuto il suo creatore !” Programma 101 fu utilizzata dalla Nasa a supporto della missione Apollo 11, quella che portò l’uomo sulla Luna. Fermiamoci qui. Tre anni dopo il regista newyorkese Stanley Kubrick realizza 2001 Odissea nello Spazio.  Il regista reinventa l’episodio di Perotto in un più drammatico confronto tra l’astronauta superstite e il cervello elettronico  Hal 9000, che ha decimato il resto dell’equipaggio.
Le analogie della sceneggiatura diventano impressionanti se si legge l’articolo di Lombroso nella “Lettura” del 1901. Nell’incipit si fa riferimento a un bastone che il primate può usare e alla macchina per volare. La scena sequenza,  con il sottofondo del “Così parlo Zarathustra” di Richard Strauss, dove si passa dall’utensile dell’uomo primitivo al volo nello spazio,  è impressionate. Lombroso porta in rassegna la tecnologia  del tempo: le macchine per scrivere che alludono ai vantaggi tecnologici e ai difetti cui ovvierà in quegli anni  Camillo Olivetti. Nella visione profetica di Lombroso nuove macchine saranno d’ausilio soprattutto per i disabili.
Oggi possiamo dire che molte di queste intuizioni sono state realizzate. Colpisce nell’immaginario del celebre criminologo veronese una visione del futuro, non nuovo a questa esperienza anche nel campo della parapsicologia. Un brevetto dei fratelli Trespioli di Parma  prevede una macchina per votare: una sorta di automa che stampa la scheda sollecitata da un pulsante. Il contometro  è la macchina per contare qualunque operazione aritmetica, antenata della calcolatrice. Senza dilungarsi sulle macchine per  censo e il misterioso trachiantropometro, Lombroso prefigura il futuro di essere inanimati che, man mano, si affrancano dall’uomo. Ecco la macchina psicologica.
E qui si  intravede l’intuito letterario di Philip Dick,  che in suo racconto degli anni ’50,  prefigura una sorta di fornello che trasmette il moto alle cose, come ad esempio un paio di scarpe, con effetti esilaranti per i protagonisti della storia.
Hal 9000 di Kubrick è un antesignano della Programma 101, degli androidi di Dick oppure un appassionato della quarta dimensione nelle teorie quantistiche del tempo?
Ora che lo scorso novembre sono state scoperte le onde gravitazionali, a conferma della teoria di Einstein, possiamo comprendere meglio  la scena della caduta del bicchiere di Kubrick e il precipitare del tempo nella quarta dimensione. Ma noi umani, parafrasando Ridley Scott, come possiamo immaginare i bastioni di Orione senza le macchine psicologiche di Cesare Lombroso e le scarpe animate di Philip Dick?

Filippo Senatore

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