Un’interpretazione “giuridica” della trattativa Stato-mafia in alternativa alle tesi esposte da Alexander Bush
Lo sceneggiato di Sky su Mani Pulite induce a ripensare quell’operazione che doveva capovolgere i rapporti tra i poteri dello Stato italiano.
In un articolo di qualche tempo fa A. Bush metteva a confronto due tesi su Mani Pulite.
La prima di Indro Montanelli che a suo tempo scriveva che “ciò che mise in moto la macchina di Mani Pulite, e ne costituì il propellente” non fu un nuovo tipo di colpo di stato, ma il crollo del Muro di Berlino: “ Fino a quel momento l’Italia non poteva concedersi il lusso di mettere sotto processo la classe politica che faceva capo alla Democrazia Cristiana perché l’unica alternativa era quella comunista. Ma il Paese subiva questa scelta obbligata come un’ingessatura da cui non vedeva l’ora di essere liberato. Ecco cosa ci fu dietro Borrelli e i suoi colleghi della Procura di Milano. Non manovre, o cospirazioni, o tentativi di golpe. Ma soltanto il crollo di quel Muro che liberò gl’italiani dalla paura e sciolse le mani anche alla Giustizia”.
Come sempre il punto di vista di Montanelli era ed è sensato e credibile. Ma è un punto di vista che, lungi dall’escluderlo, costituisce la base imprescindibile di un eventuale colpo di stato, che a mio avviso c’è stato, ma che comunque non avrebbe potuto esserci senza il crollo del Muro di Berlino. Infatti questo avvenimento, “sciogliendo le mani anche alla Giustizia”, realizzò la condizione che Montanelli ritenne decisiva per l’assolutamente inedito scontro tra Giustizia e Politica. Indipendentemente da quella che fu poi la conduzione ed il risultato di tale scontro. Che, ripeto, secondo me, fu un vero e proprio colpo di stato della magistratura.
L’esposizione della seconda tesi su Mani Pulite, sostenuta dalla Procura della Repubblica di Palermo, è senz’altro la parte più godibile dell’articolo di Bush, che va semplicemente letta e “gustata”. Ma visto che siamo nel campo delle congetture, cedo alla tentazione di esporre anche le mie sulla trattativa stato/mafia.
Semplificando “brutalmente”, fino al Maxi processo di Palermo, nei processi di mafia venivano condannati gli esecutori materiali dei delitti, ma quasi mai i mandanti, per la difficoltà di provare la loro colpevolezza. La tesi accusatoria di Falcone/Borsellino fu che, considerata l’organizzazione gerarchica verticale di cosa nostra, i delitti dei “picciotti” fossero “automaticamente” riconducibili ai capi. Una tesi efficace, già proposta negli Usa e respinta perché si scontrava con un antichissimo principio del diritto per cui la responsabilità penale è personale. Dunque da una parte la ragion di stato e dall’altra il diritto. In primo grado prevalse la ragion di stato, ma si temeva che in Cassazione- dove la prima sezione, competente per i reati di mafia, era presieduta da Carnevale, il magistrato più preparato e rigoroso d’Italia- l’ardita tesi accusatoria non sarebbe passata.
Di qui la vergognosa persecuzione di Carnevale scatenata dalla sinistra e la sua sostituzione con un magistrato più attento alla “giustizia” che al diritto. Di qui la condanna dei capi mafiosi che la ritennero al di fuori delle regole. Di qui la loro reazione con gli attentati a Milano e a Roma, al di fuori delle regole, in quanto non economicamente utili per la mafia, ma enormemente dannosi per lo Stato, un po’ come l’uccisione del cavallo nel romanzo Il Padrino. Di qui, per evitare al nostro patrimonio artistico enormi danni ( peraltro da un lato irreparabili e dall’altro condannabili con pene relativamente modeste) la trattativa stato/mafia condotta da quella stessa sinistra che aveva provocato il disastro. Di qui la revoca o la mancata conferma del carcere duro a centinaia di mafiosi, con provvedimenti voluti ed assunti da politici più o meno riconducibili alla sinistra.
La trama di un romanzo? Forse. La motivazione di una sentenza? Verosimile.
Ferdinando Cionti