Con questo articolo Pier Mario Fasanotti, giornalista e critico letterario, inizia la sua rubrica di recensioni librarie su Libertates
La mattina del 14 aprile 1930 il poeta Vladimir Majakovskij, cantore della rivoluzione bolscevica attraverso i mezzi espressivi del futurismo, entra nel suo ufficio moscovita, in vicolo Gendrikov, assieme alla sua amante nonché affascinante attrice (sposata) VeronikaPolonskaja. Scrive questa lettera d’addio, che somiglia sorprendentemente a quella che lascerà Cesare Pavese nella camera d’un albergo torinese, nell’agosto 1950: “ A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi”. La morte del poeta georgiano (nato nel 1893) non è solo una questione privata: imbarazza il regime sovietico che non prevede che ci siano scivoloni esistenziali in una società nata perché tutti siano, anzi debbano essere, felici. Il togliersi la vita è come un’accusa al regime. Ecco perché scoppia il trambusto attorno alle motivazioni del suicidio. Ecco perché la storia si fa intreccio di testimonianze, sopralluoghi, curiosi rapporti dell’apparat moscovita, voci morbose e ricostruzioni contradditorie del dramma. Vladimir, oltre che da Veronika, era attratto da un’altra donna sposata, l’ambigua Lili Brik che qualcuno definirà “la messalina sovietica”. L’imbarazzo governativo si agglutina in vari ambienti, anche artistici. Saltano all’occhio l’opportunismo e il conformismo politico. A parte Boris Pasternak, retto e coerente, la maggior parte degli scrittori e critici tende a denigrare l’imbarazzante defunto, detto anche “La nuvola in calzoni” (frase tratta da una sua opera). Ai funerali, imponenti, si sente dire: ”E’ vero che ha saccheggiato l’americano Whitman?”. Oppure: “Ormai Vladimir ripeteva disperatamente se stesso, non ha la forza di dare qualcosa di nuovo…è alla fine della corsa”. Che fosse demoralizzato questo omone istrionico alto più di un metro e 90 pareva certo, soprattutto dopo il fallimento di una sua pièce teatrale, un po’ strampalata. Il verso di una delle sue oltre 500 poesie recita così, profeticamente: “Sbatti la testa dei versi contro il buio!”. Alcuni funzionari statali accennano alla sifilide. Ma l’autopsia smentisce. Altri alla sua incapacità di amare. La nega con un sorriso beffardola stessaVeronika, a proposito della quale non sarà mai chiarito se fosse uscita da quella camera prima o dopo lo sparo. Sarà interrogata in forma segreta.Il malizioso Gor’kij nell’articolo intitolato Il verme solitario, alimenta i pettegolezzi: “Majakovskij stesso ha spiegato perché ha scelto di morire. Di amore la gente muore da sempre e molto spesso. Probabilmente lo fa per creare problemi alla persona amata. Perso che la versione del suicidio come di un dramma sociale vada verificata e alquanto ridimensionata…”. Come dire: chi si toglie di mezzo è per ragioni debosciatamente borghesi. Lo stato socialista non c’entra affatto.
( Serena Vitale- “Il defunto odiava i pettegolezzi”- Adelphi- pag.249, 19 euro)
Pier Mario Fasanotti