L’Egitto fra due colonialismi: politico e turistico

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Alloni Egitto
Il colonialismo non è scomparso. Esiste un colonialismo turistico, strisciante e camuffato. Ne sono soggetti molti paesi del Terzo Mondo a cui il privilegio della bellezza, storica e naturale, non sembra accompagnarsi ad altri privilegi. Il caso egiziano è emblematico. Dopo l’inconsulto sostegno alla Fratellanza musulmana, siamo ora di fronte a un’altrettanto aproblematica ansia da terrorismo, quasi a ribadire che il rapporto occidentale con il Terzo Mondo obbedisca a meri criteri di comodo. Laddove faceva comodo ritenere un golpe l’intervento militare contro il deposto presidente Morsi, l’Egitto assumeva magicamente i caratteri della vittima. Laddove oggi fa comodo negare il proprio afflusso turistico, l’islamismo cessa di assumere le parvenze di un “nuovo esperimento democratico” e ricade sic et simpliciter nel suo alveo naturale di fucina del terrorismo. Dell’Egitto in quanto tale non importa né in un caso né nell’altro. I patimenti di un popolo sotto una governance de facto fascista quale quella morsiana contano meno della comodità di leggere l’esperimento rivoluzionario in chiave categoriale come “replica mancata” della democratizzazione occidentale. E i patimenti attuali di un paese svuotato del suo turismo contano di nuovo meno della comodità di proteggere l’integrità dei visitatori.
In un caso come nell’altro, il cinismo è palmare. Una sola risibile vittoria alle urne di un manipolo di antidemocratici per vocazione basta a far gridare al trionfo della democrazia. E quattro soli morti tra i turisti in ben otto anni basta a far emettere quell’impronunciabile “sconsiglio” che di fatto paralizza un’intera economia.
Ora, i casi sono due. O ci si professa dalla parte dell’Egitto e del suo processo di democratizzazione – e allora si rigetta allo stesso modo il patetico sostegno alla Fratellanza precedente la destituzione di Morsi e successivo al cosiddetto “golpe” – oppure si getta la maschera e si torna candidamente a professare il proprio atteggiamento coloniale nei confronti dell’Egitto e del Terzo Mondo.
Coloniale in senso politico, quando in nome di urne viziate da brogli e voti di scambio si ignora che l’islamismo politico è una minoranza irrisoria del paese. E colonialismo turistico quando si ignora che accogliere alla lettera uno “sconsiglio” come quello emesso dalle cancellerie di numerosi paesi europei equivale a deprivare l’Egitto della sua entrata economica più consistente.
Certo, è più comodo rinunciare alle proprie vacanze a Sharm – rimborsati e soddisfatti – e veleggiare altrove. Come è più comodo sussultare di apprensione e riparare in un resort delle Maldive per non incorrere in un rischio di attentato prossimo allo zero. E come è più comodo, infine, chiamare “golpe” un’insurrezione popolare e disarmare ragione, comprensione, solidarietà e consapevolezza in nome della convenienza.
Ma allora risparmiamoci di chiamare con il nome di “salvaguardia della sicurezza” quello che non è infine che manovra politica ed economica per salvaguardare, de facto, il proprio mero interesse post- e para-coloniale. Nel caso dell’elezione di Morsi declinato in forma di sostegno a un regime democratico negli stessi termini del “democratizzato” Iraq o del “democratizzato” Afghanistan o della “democratizzata” Libia, sotto raggiunta e perseguita sorveglianza atlantica. E nel caso del turismo in Egitto declinato in forma di puro opportunismo strategico.
È vero, nessun diritto internazionale è leso nel confiscare d’imperio, attraverso uno “sconsiglio” cooptato tra ministeri degli Affari Esteri e tour operator, all’Egitto la sua primaria fonte di sostentamento. Ma è anche vero che lo spirito degli egiziani una risposta istintiva a questo pragmatismo prossimo alla pavidità la stanno dando quotidianamente in un contegnoso silenzio:
“Dunque siamo ancora il paese dell’usufrutto e della spoliazione? E se a questo loro protezionismo rispondessimo con analogo protezionismo, riservando solo ai paesi che non hanno emesso lo sconsiglio di tornare a visitarci in futuro?”
Occhio per occhio dente per dente, la legge coranica del taglione sta muovendo sinistri sentimenti di ostilità anti-europea e anti-occidentale, che è bene tenere in considerazione. Altrimenti si rischia di credere che quando le diplomazie internazionali parlano di “solidarietà” nei confronti del popolo egiziano qui i cuori e gli animi avvertano qualcosa di diverso da un senso di beffa e presa per i fondelli. Quale “solidarietà”? La solidarietà senza virgolette si manifesta negli atti. E qui siamo di fronte ad atti, sistematici, ripetuti e conclamati, che attestano mero cinismo strategico e mono-protezionistico.
Un tempo la ritorsione anti-occidentale si avvaleva del petrolio e della chiusura dei pozzi. Oggi, a questo Occidente dell’usa-e-getta, non è escluso che a qualche zelante ministro egiziano venga il capriccio di rispondere con la chiusura dei resorts.
“Egitto per chi ama l’Egitto. Mentre per chi, a fronte di quattro morti tra i turisti dal lontano 2006, accampa le ragioni pretestuali della salvaguardia, siano offerte vacanze in casa propria, ai costi che conosciamo, con il sole e il mare che conosciamo. Qui vengano i nuovi alleati del nuovo mondo non allineato”.
Una risposta che potrebbe venire, e che sancirebbe, ancora una volta, come il Mediterraneo sono due Mediterranei: quello settentrionale e quello meridionale. E se al cinismo non subentrerà la solidarietà senza virgolette diventerà un vero muro invalicabile. Con buona pace di chi il sole egiziano è disposto a pagarlo solo a prezzo stracciato e solo se Ansar al-Beit al-Maqdis colpisce polizia e militari. Pusillanimità immotivata ma comprensibile. Comprensibile perché stupida come l’intero sistema mediatico che la promuove e alimenta. Un sistema, sia detto di sfuggita, che ormai da decenni sta dimenticando un fatto elementare: il terrorismo colpisce dove le difese non sono state allertate. Vedi un po’ che gli aficionados dell’Egitto fuggiti alle Maldive si trovino una bomba nel bungalow… delle Maldive.
“State a casa, signori. Ma attenzione, fatene un bunker, perché a quanto risulta ci sono a Milano più aggressioni al mese di quante ce ne siano nel Sinai in un intero decennio”.

Marco Alloni

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