“Per l’Albatros Marco Alloni ci propone un’analisi della situazione in Egitto vista prevalentemente dal punto di vista culturale”.
La strada è segnata. E la metamorfosi, essendo antropologica, non può che essere irreversibile.
Strategia e Desiderio continueranno a sfidarsi. Ma il Desiderio, che in Egitto non aveva mai scritto le sue pagine, e non si era mai permesso l’audacia di questa nuova lingua, ha ormai trovato il suo scranno su piazza Tahir.
In sessant’anni aveva scritto solo brevi note a pié di pagina, vaghe pretese di assurgere al rango di spettatore. Oggi ha scritto un libro intero, e da non protagonista è diventato antagonista, e da antagonista protagonista.
E contro un libro del genere, Rivoluzione egiziana, non ci si può limitare alla filologia della Realpolitik: si deve riassumere il dovere della passione.
Qualunque siano le conclusioni dei geo-strateghi o la supponenza degli analisti redazionali, il popolo egiziano è incontrovertibilmente il nuovo attore della sua Storia.
Non si potrà più parlare di militari versus islamisti, di Strategie versus Strategie. È apparso il Desiderio in tutta la sua perentoria veemenza. Piaccia o non piaccia, abbiamo cominciato a sfogliare una nuova epopea.
E poi sia chiaro: a decidere la Storia non sono solo le armi, la politica, le strategie, le alleanze, l’economia. L’Egitto ha un arsenale che vale più di tutto il resto: la sua cultura.
Cinquemila anni di civiltà, di passato, di uomini. Della loro identità. Sembrerà bizzarro o romantico, forse persino patetico. Ma se esiste qualcosa che possiamo chiamare il genoma di un popolo, nel genoma del popolo egiziano è iscritto un destino che ha cominciato a compiersi fin da tempi antichissimi, per portare al 25 gennaio 2011 la voce di una dignità antica.
Un genoma singolare, affascinante, incompreso. Mai davvero indagato. All’interno del quale è tuttavia inciso a chiare lettere che nel destino degli egiziani c’è spazio per tutti: gli Ittiti, i Greci, i Romani, i Tolomei, i Persiani, i Francesi, gli Inglesi, i Russi e gli Americani; gli ebrei, i cristiani, i musulmani; i nubiani, i libici, i mediterranei; gli Abbasidi, i Fatimidi, i Mamelucchi, gli Ottomani; le monarchie, le repubbliche; i socialisti, i liberali… ma non le teocrazie.
Gli egiziani hanno tanti difetti: sono remissivi, sentimentali, servili, fatalisti, maldestri, disorganizzati, approssimativi, buoni. Amano però il ballo, la musica, le feluche sul Nilo. La buona tavola, il divertimento, le donne, la goliardia. Hanno il senso dello humour. Possiedono una naturale propensione a sdrammatizzare. Una congenita moderazione, una bonarietà paziente, una dolcezza seducente. Sono molto credenti. Adorano la loro religione, sia essa l’Islam o il Cristianesimo. Pregano e digiunano. Leggono il Corano. Seguono i precetti della Sunna. Ma senza dimenticare se stessi, la loro identità, la loro cultura.
Per questo respingono ogni attentato alla loro identità.
Una teocrazia non l’accoglieranno mai.
E se Dio è il loro faro, l’Islam politico è la loro contraddizione.
Non bastassero le argomentazioni riportate prima, ci si accontenti dunque di questa: gli egiziani sono prima di tutto egiziani, e l’egizianità vincerà sempre sull’islamismo. L’Egitto non è, non è mai stato, non sarà mai, un Paese islamista.
Decidiamo da che parte stare.
O con questo destino o con la sua negazione.
Marco Alloni*
* Marco Alloni (1967) vive da 16 anni al Cairo. Romanziere e saggista, collabora per MicroMega, il Fatto Quotidiano, la Nazione Indiana, il Corriere del Ticino e la Radio Televisione della Svizzera Italiana.