L’Egitto potrebbe essere a una svolta, o semplicemente a un ritorno al passato.

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Stefano
Questo 2013 si sta chiudendo con una serie di fatti eclatanti, abbastanza gravi da cambiare il regime al governo del Paese, ma forse non sufficientemente forti da mutare il suo destino di Stato conteso fra una teocrazia e una dittatura militare.
Il colpo di Stato del 3 luglio 2013, evocato a furor di popolo da decine di milioni di persone in piazza, ha riportato al potere un governo civile protetto dai militari. Dopo un anno di governo, il presidente islamico Mohammed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, è stato prima deposto e poi incarcerato. Non erano passati due mesi dal golpe che il presidente Hosni Mubarak, deposto dalla rivoluzione del 2011, ritornava il libertà. Torna l’ancien regime? Parrebbe di sì, considerando che, questa settimana, con una sentenza della magistratura civile, l’organizzazione islamica dei Fratelli Musulmani è stata sciolta.
L’ultima volta che i Fratelli Musulmani erano stati ufficialmente soppressi risale al 1954, quando uno di loro cercò di assassinare il dittatore di allora, Gamal Abdel Nasser. L’organizzazione islamista, la più antica del mondo, passò un ventennio in clandestinità, subendo censura e persecuzioni. Riemerse solo negli anni ’70, grazie al presidente Sadat, il successore di Nasser. Intimorito dalla possibilità di una rivoluzione islamica, fu Sadat a far tornare i Fratelli Musulmani alla legalità, anche se non permise loro di accedere al potere. Esattamente come i comunisti in Italia, i Fratelli egiziani hanno rinunciato al comando dell’economia, dell’esercito e della burocrazia di Stato, ma hanno iniziato a conquistare l’egemonia in tutti gli altri settori-chiave: l’istruzione prima di tutto, i sindacati, la stampa e le televisioni. E infine, ma non da ultimo: la legge. Perché la riforma costituzionale voluta da Sadat introduceva la sharia, la legge coranica, quale fonte primaria del diritto. Forti di questa riforma, i Fratelli Musulmani hanno iniziato a monopolizzare le norme e la loro applicazione.
Sadat pagò con la vita la sua decisione di legalizzare i Fratelli Musulmani. Fu assassinato da una loro cospirazione il 6 ottobre 1981. Ma il suo successore, Hosni Mubarak, non ebbe il coraggio di rimandare gli islamisti nelle catacombe. Proseguì sulle orme di Sadat. Permise alla Fratellanza di continuare la conquista delle casematte della cultura egiziana.
La rivoluzione del 2011 e la successiva vittoria elettorale di partiti islamici (Libertà e Giustizia di Morsi e l’ancor più fondamentalista Al Nur) è solo l’ultima tappa di un lungo percorso. Gli effetti dell’islamizzazione egiziana sono visibili a occhio nudo. Paese laico fino a tutti gli anni ’70, negli anni 2000 si presentava agli occhi attoniti dei visitatori occidentali come una specie di Arabia Saudita affacciata sul Mediterraneo: tutte le donne velate, il Corano recitato ovunque, le moschee al centro della società, i programmi televisivi tutti incentrati su temi religiosi, anche molto estremisti.
Quel che ha provocato la fine del potere dei Fratelli Musulmani in questo 2013 è soprattutto la loro incapacità di governo. La mancata promessa di una ripresa economica e il collasso dell’ordine pubblico hanno indotto almeno 25 milioni di egiziani a firmare una petizione contro il presidente Morsi. Caduti in disgrazia, però, i Fratelli Musulmani rischiano di risorgere più forti di prima. E senza attendere il ventennio di catacombe, come ai tempi di Nasser. Infatti, non solo la società è ormai profondamente islamizzata, ma gli stessi partiti laici tornati al potere accettano ampi compromessi con la legislazione coranica. La Commissione dei Cinquanta, che sta revisionando la nuova Costituzione egiziana, sta infatti conservando l’articolo 2: “l’Islam è religione di Stato, l’arabo è la lingua ufficiale e la sharia è la fonte principale della legge”. Forse verrà lasciato intatto l’articolo 3, che contempla la libertà di cristiani ed ebrei di far riferimento alle proprie autorità religiose: le altre religioni, gli agnostici e gli atei non troveranno posto nemmeno nella nuova Costituzione, se l’articolo non verrà riformato. La risposta data dall’università di Al Azhar del Cairo (punto di riferimento dell’Islam sunnita) all’ultimo messaggio di Papa Francesco non lascia adito ad equivoci: tolleranza (entro certi limiti) per le “religioni rivelate”, ma nessun accenno alle altre. Non è in discussione neppure l’articolo 219, che stabilisce quale interpretazione si debba dare alla legge: “i principi della sharia” si rifacciano al Corano, all’insieme dei precetti del profeta Maometto, la sunna, e dei primi ulema. Rimarrebbe dunque intatto anche il monopolio sunnita sulla legge religiosa.
È ancora difficile capire quanta parte della vecchia legge islamica rimarrà intatta. I segnali di un vero cambiamento, per ora, sono pochi. La detronizzazione di Morsi e la chiusura dei Fratelli Musulmani, a questo punto, rischiano di rimanere un episodio limitato a una mera lotta di potere. Una contro-rivoluzione laica non è ancora in vista. L’Egitto, che, dall’indipendenza in poi, è sempre stato sospeso fra i due mali della teocrazia e della dittatura militare, ora rischia di ritrovarsi entrambe al potere.

Stefano Magni

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