il caso Sharon Tate e le avventure dell’autore
Soltanto il grande Indro Montanelli poteva permettersi di parlare di se stesso, ma facciamo finta di niente…
Sabato 10 agosto 2019, la giornata si annunciava come ottima nonostante l’ipertrofia della temperatura al limite del bollettino rosso, quando… a Camogli lo scandalo del reale fa irruzione violenta nella mia vita distruggendo tutti i miei propositi: cominciamo, però, dalle buone notizie. Alle 9.00 del mattino, tra il bel tempo e l’entusiasmo al galoppo più una leggera coffee addiction (ma mai gravemente disturbante), leggo un bellissimo ritratto di Maria Luisa Agnese sul Corriere 7 dell’attrice morta violentemente trucidata con il figlio in grembo e alcuni amici a Los Angeles, 10050 Cielo Drive, il 9 agosto 1969, nella villa di suo marito Roman Polansky dai satanisti di Richard Manson. Stiamo parlando di Sharon Tate: “Sharon Tate, la predestinata”; orbene, l’articolo in questione – scritto da una donna che pure non è assente ai consumati riti del birignao disarmante nei salotti molto provinciali dell’intellighencia di sinistra del Belpaese –è un raro esempio di rigore e stile giornalistico…
L’ho gustato di pari passo all’assunzione veloce ma felice dei miei due caffè solubili preparatimi dalla domestica Luba, quando giungo violentemente alla conclusione che devo scrivere qualcosa che sia sotto forma di appunti o altro: perché credo di avere disvelato attraverso le parole della Luisa Agnese l’enigma in apparenza irrisolvibile della Sharon quasi Marilyn, in ciò aiutato dalla utilissima e sconvolgente patobiografia “L’altra Marilyn – psichiatria e psicoanalisi di un cold case”, a opera di Liliana Dell’Osso e Riccardo Dalle Luche (tante volte citata su Libertates). Quando, purtroppo, cambia tutto in peggio, e ombre nere si abbattono sul mio fragile ma assai godibile equilibrio incipiente della giornata in working progress… La fatica di vivere, si sa, riguarda tutti.
Alle 5.00 del pomeriggio vado a tagliarmi i capelli dalla parrucchiera Tina a Camogli, per eliminare l’anti-estetica coda ai capelli. L’avv. Sandra Celestino, donna bellissima, mi ha sempre suggerito di mantenere i capelli lunghi, ma lo stress del caldo e la trasandatezza del mio aspetto…
La parrucchiera mi tradisce, e mi taglia tutti i capelli, non solo la coda. Poi, al congedo per il pagamento, mi dice: “Stellina, per qualsiasi problema – se non stai bene – chiamami”. Un modo di relazionarsi abbastanza ambiguo da parte di una parrucchiera a malapena conosciuta, non trovate? Come a suggerire implicitamente: lei mi fa abbastanza pena, perciò mi cerchi se non sta bene in caso abbia bisogno di aiuto! Ma, credetemi, c’è davvero di peggio nella vita. Rientro con la consueta velocità del passo in via Jacopo Ruffini, quando mi imbatto nel vicino di casa milanese Gradinik, il quale – stringendomi la mano – si rivolge a me: “Come è andato l’anno?”. E io, con delicatezza, rispondo per non sembrare vanitoso: “Tra up and downs…” e un sorriso aperto ma sincero. E lui, di rimando: “Ma quanti anni ha?”“31”. “M aè giovane, ha tutta la vita davanti!”. E una live irritazione, una certa smorfia compare sul suo volto.
A 35 gradi di caldo forse non ero in gran forma con leggere manie di persecuzione, ma avverto un sentimento sinistramente odioso o respingente nei miei confronti. Lo dico anche con qualche accento piccolo-borghese. Quid est veritas? L’avvocato Laura Gilli, avvenente donna di 53 anni piuttosto sveglia, appreso l’accaduto manda un SMS: “C’è invidia pura nei tuoi confronti”. Poi comincio lentamente a entrare in crisi, anche se mi viene una scarica di eccitazione erotica nell’angoscia montante. Rabbia e frustrazione eccitano, è chiaro, e i pensieri come d’incanto vanno alle belle signore di mezza età.
Comincio a chiedermi: ma sono un perdente? Trasmetto questa sensazione agli altri, anzi all’Altro?
Poi faccio stalking telefonico sulla femme fatal Sandra Celestino: 80 telefonate tra la sera e la mattina del giorno 12 agosto, alle 9.00 del mattino, mentre è in tribunale.
Chi scrive annuncia la sospensione temporanea della sua collaborazione con Libertates, fino all’auspicabile prossimo ristabilimento di una salute al limite del disturbo bipolare.
Tuttavia… si conclude almeno lo sforzo erculeo, come nel proposito iniziale, di disvelare l’enigma di Sharon Tate. Cominciamo dall’ottimo incipit della psichiatra Liliana Dell’Osso, per collegarci in prospettiva alla giornalista Maria Luisa Agnese –due casi molto simili nel loro profile di cold case, le morti di Sharon e Marilyn: “…Marilyn (Monroe, ndr) è stata il primo caso di morte per suicidio/overdose, nel mondo dello spettacolo, ad avere risonanza mediatica mondiale; dopo di lei, com’è noto, numerosissime sono state le morti in circostanze analoghe di giovani popstar. Il cosiddetto club dei 27: Jim Morrison, Jimy Hendrix, Janis Joplin, Brian Jones, seguiti, più recentemente, da Kurt Cobain, AmyWhinehouse. Anche in Italia, in quegli anni ’60, abbiamo avuto la morte per suicidio di un cantautore ventinovenne, Luigi Tenco, sulla quale ancora oggi si discute. Non può trattarsi, quindi, solo di storiacce di droga, di comportamenti spericolati o di ferocia dello star system!
Esiste un comune denominatore psicopatologico che collega questi casi di morte prematura, di folgorante ascesa e di tragica caduta, di trionfi artistici e malesseri esistenziali. “Muore giovane chi è caro agli dèi”…, recita il frammento di Meandro recuperato e reso celebre da Leopardi: forse il cervello ha un suo preciso orologio biologico, una fatale cronologia cerebrale innata, che la psicologia, il gossip, i luoghi comuni e gli aspetti investigativi e criminologici ignorano.
Un aspetto che ci ha colpito è il simile destino post-mortem di vite drammatiche e travagliate, interrotte prematuramente: il cordoglio universale (non sempre condiviso dall’entourage familiare o professionale), l’iconizzazione, la beatificazione di Marilyn come di Diana Spencer, morta anche lei all’età di trentasei anni, sebbene in circostanze diverse, e per la quale Elton John riciclò Candle in the wind che, come dice Moskowitz, cattura l’essenza della personalità borderline…”.
Orbene, l’essenza della personalità borderline è il limite alla schizofrenia.
Questo vale anche (secondo l’opinione di chi scrive, che non è quella di un esperto) per Sharon Tate, morta assassinata all’ottavo mese di gravidanza a 29 anni di età, con un certo disturbo borderline di personalità– per lo meno anedotticamente–, costituito da un dato che è a dir poco inquietante: la totale mancanza, per sua stessa confessione, di un nesso condizionalistico e/o di rapporto etiologico tra causa/effetto in tutte le decisioni della sua vita! In altri termini, non c’era né la consapevolezza né la capacità di elaborare razionalmente tout court i processi interpersonali e intrapersonali da parte di Sharon, con possibile disturbo dell’empatia verso se stessa che è determinato dal cosiddetto “fantasma dell’autodistruttività”: l’Altro non esisteva! E l’Altro, poi, si vendicò… Ci arriviamo subito, con l’aiuto di Maria L. Agnese: “… Sharon è morta proprio pochi giorni dopo gli scatti incantati del fotografo Terry O’Neill… nel massacro efferato della setta di Richard Manson, il 9 agosto 1969. Un evento che sconvolse l’America e il mondo per la sua violenza inspiegabile e per l’assenza di motivazioni se non ideologico-irrazional-religiose, e che chiuse in anticipo un’epoca di sogni hippie e alternativi”. Attenzione, però: era irrazionale con inside della personalità privo di ratio anche la nostra bellissima Sharon:“Forse la meno stupita da quell’inspiegabilità sarebbe stata proprio Sharon che qualche giorno prima a Londra a un giornalista inglese aveva detto: “Tutta la mia vita è stata decisa dal destino. Penso che qualcosa di più potente di noi decida i nostri destini per noi. So una cosa, non ho mai pianificato niente di ciò che mi è successo”. Nel nuovissimo One upon a time… in Hollywood, c’è una Margot Robbie che interpreta Sharon. Quentin Tarantino idealizza Tate, ne fa un simbolo della Hollywood che è stata e non sarà più e, nel suo vizio di ribaltare la storia, nega l’efferato omicidio e scrive un finale diverso, facendo morire al posto di Sharon i suoi aguzzini. Ma sappiamo che per la tormentata e duplice attrice texana le cose sono andate diversamente. Era consapevole di quello che voleva da lei l’industria di Hollywood e tentava di sfuggirne, ma sempre con grazia: “Cercano di fare di me un sex simbol, un’oca bionda” aveva detto a Cine Revue Magazine…”. Non era anche la lamentela dell’attrice Marilyn, che voleva fondare il Marilyn Monroe Shakespeare Festival senza averne i requisiti? Siamo un po’ cinici. “Rivelare l’arte e nascondere l’artista”: Oscar Wilde dixit; Sharon Tate c’è riuscita, ma l’alternativa sarebbe stata finire viva all’Inferno come Francis Farmer, Marilyn Monroe e Zelda Scott Fitzgerald (tutte e tre internate in manicomio).
Non è tragedia la vita?
di Alexander Bush