La lettera al Ministro Fornero di un nostro collaboratire.
“Ministro Fornero,
leggo oggi la sua affermazione: “Il lavoro non è un diritto, bisogna guadagnarselo”.
Forse è stata un’espressione un po’ infelice, per dire che una cicala intenta a cantare tutto l’anno, non è giusto guadagni come fosse una formica operosa.
In questo senso è sacrosanto quanto afferma, ma poco coerente con la realtà dei fatti che molti lavoratori vivono ogni giorno. Quindi, al suo posto, sarei stato più oculato nella scelta delle parole.
Quando si utilizza il termine “crisi” in relazione al mondo del lavoro, non si parla solo di disoccupazione, o di persone che dimostrano di non meritare la fortuna di avere un impiego, mettiamolo bene in chiaro. Si parla anche di persone che, ogni giorno, vanno a lavorare per pochi soldi e in condizioni che lei, Ministro, forse non vuole o non sa immaginare. Le condizioni a cui alludo spaziano dall’illegalità (lavoro nero, scarsa o nulla sicurezza sul luogo di lavoro), al mobbing, allo sfruttamento.
Per quanto riguarda me – che scelgo di nascondermi dietro l’anonimato, almeno fino a quando mi deciderò a rassegnare le dimissioni – le dirò solo poche cose, che spero l’aiutino a capire la quotidianità di noi, gente comune. Io faccio parte della cosiddetta “Generazione Mille Euro” – e sa – dello stipendio neppure mi lamento. Si riesce a farlo diventare sufficiente a condurre un’esistenza decorosa, si fanno altri lavoretti nel tempo libero, ci si arrangia. Ma non riesco ad immaginarmi fortunato quando devo tapparmi il naso, annusando il “puzzo dell’illegalità” nel mio lavoro quotidiano. Non riesco ad immaginarmi fortunato quando la persona per cui lavoro mi chiede disponibilità illimitata (in termini di ore lavorative) in periodi particolarmente intensi, senza retribuire la disponibilità che gli accordo. Al rifiuto di attenermi a tali condizioni, sono stato pesantemente redarguito.
A fronte del mio “atto di disobbedienza”, il pieno raggiungimento di tutti gli obiettivi, conseguito grazie al mio lavoro, è passato in secondo piano. Nel posto in cui lavoro (come in molti altri, che io sappia) alle giovani donne viene “consigliato” di non avere bambini per salvaguardare il proprio impiego. Alle giovani donne viene “consigliato” di incentivare con determinati atteggiamenti la collaborazione di un partner importante. A peggiorare la situazione – anzi, a renderla più grottesca – il fatto che l’azienda per cui lavoro riceve anche encomi per il proprio impegno etico e sociale!
Cosa ne dice, Ministro, cosa ci consiglia? Ce lo siamo guadagnati o no, questo lavoro? È un Paese credibile l’Italia, un luogo in cui molti imprenditori lavorano in maniera fraudolenta, obbligano i propri dipendenti a fare altrettanto, li sfruttano e, se ci si rifiuta di lavorare a queste condizioni, si finisce in mezzo ad una strada?
Glielo chiedo perché, non essendo il lavoro un diritto, me lo guadagno tutti i giorni, lavorando duramente, ma anche scendendo a pesanti compromessi con me stesso, per evitare di finire per strada.
Glielo chiedo perché, essendo i diritti dei lavoratori solo parole, messe insieme per soddisfare la vanità di qualcuno, quando sento il Ministro del Lavoro affermare: “Il lavoro non è un diritto” il concetto mi sembra “se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”. Purtroppo. P.S.: A quanti contestassero che in questa lettera io confonda i diritti dei lavoratori con il diritto al lavoro, rispondo: stiamo attenti! Perché se il lavoro dovesse diventare “qualcosa che faccio perché mi va”, allora non sarebbe né soggetto a diritti, né tantomeno a doveri. Sarebbe praticamente un hobby. Ma dal momento che la gente, in condizioni normali, ha bisogno di lavorare per vivere, allora è necessario precisare che il lavoro sia un diritto. Per beneficiarne è necessario adempiere una serie di doveri e, nel rispetto di questi, avvalersi di una serie di diritti.
AR”
Questo “grido di dolore” di una persona che collabora da anni all’attività dei Comitati, disinteressatamente, con grande impegno e dedizione è particolarmente interessante e del tutto condivisibile.
Affronta infatti il tema di un diritto fondamentale per tutti noi: quello del lavoro, della dignità del lavoro.
Per noi il lavoro non è soltanto un diritto che ci permette di guadagnare quanto necessario a vivere, ma una delle libertà fondamentali: la libertà di poter raggiungere dei risultati proporzionati al proprio impegno e alle proprie capacità, la libertà di raggiungere determinati obiettivi grazie alle proprie forze, la libertà di sentirsi realizzati attraverso il proprio lavoro.
Ed è proprio questo che, secondo noi dei Comitati, occorrerebbe nell’Italia di oggi: considerare chi lavora un cittadino che ottiene risultati grazie al proprio lavoro e impegno e non un suddito vive grazie alla benevolenza e alle concessioni del “padrone” di turno.
Angelo Gazzaniga
Portavoce dei Comitati per le Libertà