Non di solo reddito di cittadinanza debbono vivere i giovani
E’ accaduto veramente. E’ triste raccontarlo, ma è un fatto emblematico dell’anomalia italiana (i “bamboccioni” di cui parlava Tommaso Padoa Schioppa): Sebastian, 26 anni appena compiuti, fisico palestratissimo e disturbo anti-sociale della condotta come molti suoi coetanei di Recco, chiede a sua madre un pomeriggio di ottobre inoltrato di comperargli delle scarpe da ginnastica – mentre è in cucina intenta a preparare la colazione serale e con le consuete preoccupazioni; risposta: no, Sebi, non è possibile. Non sono un bancomat. Reazione di Sebastian: sfonda la porta della cucina a calci e pugni. Ottiene le scarpe da ginnastica Adidas, ma la porta della cucina è da rifare. Durante lo svolgimento di questi fatti tristissimi da sfamiglia (direbbe lo psichiatra Paolo Crepet), ho provato una repressa eccitazione erotica: la forza energumenica di questo ragazzo sortiva un effetto di fascinazione bestiale su di me, ma nello stesso tempo di atroce riprovazione (non è perfetto anche chi scrive quest’articolo). Dentro di me dicevo: “Dai, Sebi, sfascia tutto il tavolo! Forza, non ti arrendere!”… Sebastian è lo specchio della “rinuncia al Desiderio” (Jacques Lacan) di cui si macchia la nostra generazione e di cui ha parlato così cinicamente e realisticamente Michele Serra in Sdraiati. Quando si ottiene tutto ciò che si desidera – e con la forza bruta dell’animale – non si lotta più per immaginare e creare; le creazioni come Apple, che partì da un garage di periferia dove Steve Jobs rischiava la povertà e sognava, o la musica matematica del quasi quarantenne John Carpenter, scaturiscono non dal possesso, ma dalla mancanza: quella mancanza che stuzzica la fantasia. Quella fantasia che a volte – pur tra mille difficoltà – contribuisce a scardinare lo status quo, rendendolo migliore. E velocizzando il progresso sociale di una comunità. Orbene, il comportamento borderline di Sebi che nella famiglia Kennedy avrebbe provocato reazioni sacrosantemente dure si collega idealmente alla bellissima intervista rilasciata dallo psichiatra basagliano e reaganiano (nel senso di Ronald Reagan e Franco Basaglia) Paolo Crepet per il suo libro Impara a essere felice, fondamentale ai fini della latitante “pedagogia calvinista” nel nostro disgraziato Paese per un triplice ordine di motivazioni: a), Crepet – uomo durissimo con se stesso e con gli altri – è il nemico pubblico n.1 del reddito di cittadinanza; lo Stato mammone italiano, da Andreotti a Di Maio, deve smettere di proteggere i suoi giovani, che debbono imparare a reggere sulle proprie gambe come negli States; c’è un ideale di normalità davvero preoccupante nel nostro Paese, quando è la stranezza la vera bellezza della vita. Il rifiuto dell’ordinarietà nutrito anche di voli di Icaro, ma sognanti… Consiglio a Sebi di leggere la citata intervista, se mai lo farà, realizzata da una psicologa avvenente e abbastanza frustrata (le psicologhe, del resto, sono disturbate assai).
Chissà, forse il manifesto di Crepet lo farà riflettere. O forse no. Inventatevi, giovani. Non vi resta da fare nient’altro. E solo con il capitalismo duro e puro – fatto di “una sfilza di 4” Crepet dixit) – potrete riuscirvi: cioè basta con il buonismo. Free trade. Stay foolish. Stay hungry. Dal fondo di un pozzo, non dal divano di una casa con le scarpe Adidas e 780 euro di reddito senza fantasia.
di Alexander Bush