Quale Europa dopo gli attentati di Bruxelles?
Come sempre accade, dall’11 settembre in poi, dopo la tragedia inizia la farsa. La tragedia, in questo caso, è il duplice attentato dei terroristi suicidi a Bruxelles, che ha mietuto decine di vittime all’aeroporto internazionale Zaventem e alla fermata della metropolitana Maalbeek (a due passi dalla sede della Commissione Europea). La farsa, puntualmente, arriva con i commenti televisivi, l’inadeguatezza delle persone al comando e le voci spontanee raccolte e diffuse dai social network. Lasciando da parte, almeno per un giorno, un’analisi della minaccia jihadista che incombe, preoccupiamoci delle reazioni. Perché sono quelle lo specchio della nostra inadeguatezza, del nostro disarmo morale e intellettuale.
Il simbolo di questa inadeguatezza è l’Alta Rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza Europea, Federica Mogherini, in lacrime ad Amman, in un paese arabo alleato, dove era ospite a parlare proprio della crisi mediorientale. Colei che dovrebbe provvedere alla nostra sicurezza, essere una guida rassicurante che infonde forza nel suo popolo, cede alla più umana delle debolezze in un paese e in circostanze che non lo consentirebbero proprio. Per gli jihadisti, un nemico colpito e in lacrime è un debole, un vinto, una vittima che si può umiliare ancora, proprio perché dimostra, con il suo atteggiamento, di non avere la forza di rispondere col terrore al terrore. Letto da qui, in un paese civile, può sembrare una barbarie. Ma tant’è: così ci vedono e così reagiscono di conseguenza i nostri nemici. Le lacrime della Mogherini, versate in Medio Oriente, a pochi passi dall’epicentro dello Stato Islamico, sono veramente quello che il nemico si aspettava, la conferma che sta vincendo.
La stanca reazione delle autorità belghe, che hanno ammesso l’esistenza di un attacco terroristico alla buon’ora delle 11 del mattino, tre ore dopo lo scoppio delle prime bombe, è l’altro sintomo preoccupante di impotenza. Ma come? Proprio a Bruxelles, quattro giorni dopo l’arresto di Salah Abdeslam, il ricercato degli attentati di Parigi, in una città blindata dalla polizia e dall’esercito sin dal mese di novembre … proprio lì e proprio adesso, in piena allerta anti-terrorismo, scoppiano terroristi suicidi come se si fosse a Baghdad? Ma non solo: ne scoppiano due all’aeroporto e, dopo un’ora e mezza, ne scoppia un terzo in una stazione della metropolitana. E non una stazione qualunque, ma quella che porta alla Commissione Europea.
Giusto per rimarcare: il tutto dopo un’operazione anti-terrorismo in cui è stato arrestato un uomo che era ricercato da quattro mesi in tutta Europa. E che è stato arrestato nel suo quartiere, che non ha mai lasciato, a due passi dalle istituzioni belghe ed europee. Di fronte a tutta questa concatenazione di vergogne, qual è la prima reazione del premier belga Charles Michel: “Temevamo un attacco ed è successo”. Bravo! E tu cosa hai fatto per cercare di impedirlo, se proprio lo temevi?
Di fronte a queste reazioni, ci si sente impotenti guidati da impotenti. Soprattutto dopo che si incominciano a sentire anche i commenti televisivi e si leggono quelli sui social network. Sono troppi per citarli tutti, ma li possiamo dividere in alcune categorie. Ci sono i perbenisti: oggi siamo tutti belgi, anzi siamo tutti europei, mostriamo solidarietà con il cuore colpito della nostra democrazia, eccetera. Poi ci sono gli autolesionisti: è la povertà che crea terrorismo (povertà? in Belgio?), i terroristi sono nostre vittime esasperate, ce lo meritiamo a causa delle nostre politiche neocoloniali (quali?), eccetera. Poi i filosofi: oggi dobbiamo essere tutti umani, la violenza è l’arma del debole, non chiudiamoci in casa, la paura non trionferà, eccetera. Comunque colpa dell’Occidente (e del neoliberismo). Infine ci sono i populisti, che la fanno facile, anzi facilissima: costruiamo un muro anti-islamico (dove?), spianiamoli (chi? cosa?), rispediamoli tutti da dove sono venuti (ma se sono nati e cresciuti qui?). E poi l’utente medio, televisivo o di Internet, si chiude in se stesso, perché non sa più a cosa pensare. Il senso di impotenza cresce e basta.
La realtà, che nessuno vuol seriamente guardare in faccia, è che nelle nostre città è cresciuto il cancro dell’odio contro la società aperta. Lo stesso tipo di odio, che ieri si schierava sotto le bandiere rosse del comunismo e oggi sotto quelle nere del califfato, contro la libertà individuale, contro una società dove ciascuno può fare quel che gli pare, purché non faccia male agli altri. E’ proprio questa caratteristica di base della società aperta che i totalitari odiano, perché va contro al loro determinismo storico di matrice religiosa o ideologica, alla loro utopia di società chiusa, dove uno comanda, gli altri obbediscono, ciascuno deve restare dentro ad un ruolo prescritto da un grande “piano”.
Di fronte a questi odiatori si deve dare, prima di tutto, una risposta morale, in difesa della società aperta, dei suoi fondamenti, del nostro stile di vita. Ma chi la può dare? Se si guarda il curriculum dei nostri leader politici e culturali, troviamo solo origini più o meno apertamente antagoniste alla società aperta. C’è chi la odia da destra, perché la trova “decadente” a causa della sua libertà “arrogante”. E chi la odia da sinistra, perché considera la libertà come un paravento dell’“oppressione dei deboli”. Nessuno ha veri argomenti in difesa della società aperta, perché nessuno la rispetta. Ed è ovvio che dai pensieri seguono i fatti: come fai a difendere qualcosa che non ami? Puoi suggerire espedienti temporanei, come tali destinati a fallire. Ma non potrai mai elaborare una strategia di lungo periodo, in difesa di valori e di uno stile di vita indesiderati. E quindi non ti resta che piangere, quando vedi il tuo stesso odio portato alle estreme conseguenze da chi uccide suicidandosi.
Stefano Magni