Il 2013 è l’anno della recessione, l’anno del pericolo di default, l’anno dell’ingovernabilità. Le analisi si sprecano, soprattutto dopo un esito elettorale a dir poco incerto. Ma pochi, purtroppo, notano la vera novità, tutta negativa, di questa Italia post-elettorale: il liberalismo è stato spazzato via.
Alla Camera ha vinto la sinistra, i cui anticorpi post-comunisti hanno espulso Matteo Renzi, unico riformatore, tendenzialmente liberale, nel variegato panorama politico italiano. Prevale la sinistra istituzionale, legata ai sindacati, incline a scendere a compromessi con le sue ali più massimaliste e nostalgiche (Vendola) e non certo con la sua corrente più riformista.
Al Senato è il momento del grande ritorno di Berlusconi. E anche qui i liberali hanno poco da festeggiare. E’ infatti la prima volta che gli italiani confermano la fiducia al Cavaliere pur sapendo che non ha più nulla di liberale. Lo ha dimostrato in 8 anni di governi in cui ha aumentato costantemente la spesa pubblica e ha portato il debito a livelli da record. Ha inventato gli studi di settore ed Equitalia. Ha introdotto per primo il redditometro. E ha vinto su un programma tutt’altro che realista e sicuramente non liberista, fondato su parole d’ordine quali la sovranità monetaria (vecchio cavallo di battaglia del Msi), più spesa per far ripartire l’economia. Poco importa, a questo punto, che prometta di ridurre le tasse e restituire l’Imu in contanti, slogan che sanno tanto di promesse vuote (dove li recupera i soldi? dalla Svizzera, che il suo ex ministro Tremonti aveva discriminato e inserito nella lista nera?), è più importante sapere che Berlusconi manterrà la promessa di spendere indebitandosi. I suoi stessi editorialisti, i suoi guru economici, affermano che il “debito non è un problema” e sono pronti a suggerirgli ancora questa via.
E’ il momento del collasso di Mario Monti. Prevedibile, anche se non fino a questo punto. Il professore era uscito dal suo anno di governo con le ossa rotte e le piazze piene di proteste contro il suo operato. Aver alzato le tasse senza fare le riforme, è stato il bacio della morte per la sua nuova avventura politica. Quel poco di promesse che poteva ancora fare è stato bocciato. Con lui e con la sua catastrofica alleanza con figure del vecchio establishment, è morta anche la tentazione di creare un progetto di società civile riformatrice.
E’ il momento dell’aborto di Fare, la creatura di Oscar Giannino. La dimostrazione di assoluta inaffidabilità del suo leader, la scarsa lungimiranza di corteggiare i salotti buoni, Montezemolo (prima) e Monti (poi), la scarsa empatia dei suoi professori con un’opinione pubblica esasperata, hanno fatto perdere la speranza di mandare in Parlamento l’unica forza coerentemente liberale sorta negli ultimi due decenni.
Infine, ma non da ultimo: è il momento dell’ascesa di Beppe Grillo e del suo Movimento Cinque Stelle. Si può dire quel che si vuole di quel movimento e di quel programma, dove si mescolano tendenze libertarie contro la casta e pulsioni totalitarie di controllo sull’economia, energie verdi ed euroscetticismo (non anglosassone, ma degno della destra sociale italiana). Ma una cosa è certa: Grillo e i suoi sono riusciti a raccogliere un quarto di italiani che odiano il capitalismo, la globalizzazione e il liberalismo. Ed è quella la vera espressione della “pancia” del nostro Paese, a cui tutti gli altri partiti dovranno scendere a patti.
E’ il momento di dire: liberalismo anno zero. E’ tutto da rifare.
Stefano Magni
L’articolo è interessante, e anche condivisibile, a parte l’interpretazione delle ragioni che hanno portato il voto a Grillo. Credo che a parte qualche irriducibile, la maggior parte delle persone non abbia neppure letto il programma del movimento 5 stelle. Credo che il voto sia stato l’espressione della protesta nei confronti di una classe politica che ha chiesto sacrifici senza farne MAI. Una classe che dice che soldi non ce ne sono e ne incassa centinaia di milioni con i rimborsi elettorali, che fa referendum di cui non rispetta gli esiti, insomma qualsiasi cosa è meglio della vecchia politica. Con Renzi sarebbe andata diversamente? sicuramente si, e mente chi dice il contrario, ma ormai è troppo tardi per i se e i ma!