Libertà di secedere da un contratto sociale

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Gli indipendentismi sono sempre accostati all’immagine di Paesi poveri che vogliono liberarsi da grandi e ricchi imperi. Sono diventati una moda ideologica dopo la Prima Guerra Mondiale, quando erano le colonie degli Imperi sconfitti ad aver ottenuto l’indipendenza e le colonie degli Imperi vincitori ad agognarla anche per loro. Sono diventati una realtà dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando anche gli Imperi vincitori si sono dissolti come neve al sole. Sono diventati una realtà ancor più concreta dopo la Guerra Fredda, quando anche l’ultimo degli imperi, quello sovietico, si è dissolto senza nemmeno combattere una vera guerra.

Adesso assistiamo alla nascita di un nuovo tipo di indipendentismo. Non si parla più di nazioni povere perché dominate da imperi che le sfruttano, ma di parti della società civile di uno Stato democratico che non vogliono più aderire a quel “contratto sociale” che svilisce la loro produttività. Il Texas (e la Louisiana e tanti altri stati) negli Stati Uniti non sono mai stati “colonie” e sono attualmente fra i più ricchi degli stati americani.

Negli Usa si combatté una guerra civile, sorta da una secessione, ma sembrava acqua passata. Anche in quel caso non si trattava di una ribellione di un Sud colonizzato a un Nord colonizzatore, ma di un pezzo di società civile (nel Sud) che non voleva più aderire allo stesso contratto sociale assieme ai concittadini del Nord. Allora c’era di mezzo il protezionismo (che il Sud rifiutava), il dibattito sulla Costituzione (il Sud voleva ribadire maggiormente i diritti degli stati) e lo schiavismo (che il Sud voleva ancora imporre ai neri, fino a “tempi migliori”). Democraticamente, il Sud optò per la secessione. E ne scaturì la guerra più sanguinosa combattuta dagli Stati Uniti.

Oggi i tempi sono molto cambiati: non esiste più la schiavitù e il protezionismo, al contrariamente ad allora, è chiesto da entrambe le parti, contro la Cina. E’ semmai la Costituzione che non finisce mai di essere interpretata in modo univoco e condiviso da tutti. Quel che sta cambiando è il ruolo governo federale. Vuoi per retorica, vuoi perché ci crede veramente, Barack Obama dichiara di voler cambiare l’America e il suo sogno. Non vuole più enfatizzare l’individuo e la sua libertà di iniziativa: al self-made man ricorda che “You didn’t build that”, non lo hai fatto da solo, ma assieme ad una collettività. In pratica, questo si traduce nella costruzione, anche negli Usa, di un modello di Stato sociale come lo conosciamo qui in Europa. Tutto quello che propone va in questa direzione, a partire dalla riforma sulla sanità.

La cosa che dà maggiormente fastidio ai singoli stati dell’Unione, è l’intromissione del governo federale nei loro affari territoriali, etici ed economici. Un governo federale che vuole imporre regole e programmi sociali, a spese di tutti i contribuenti. In Texas sono state raccolte quasi 118mila firme, in due settimane, per chiedere la secessione pacifica da Washington. Gli Usa, trasparenti come pochi altri, pubblicano tutte le petizioni al governo sul sito della Casa Bianca, sul blog “We the People: Your Voice in Our Government” (Noi il popolo: la vostra voce nel nostro governo). E il popolo del Texas si sta facendo sentire eccome! Quello stato in particolare è il caso più eclatante. Ma sono davvero cifre impressionanti anche quelle delle firme raccolte da petizioni analoghe anche di altri stati: più di 30mila firma dall’Alabama, quasi 37mila dalla Louisiana, quasi 35mila dalla Florida, più di 21mila dall’Indiana, 22mila e passa dal Colorado, 31mila e rotte dal Tennessee, 32mila dalla Georgia, 23mila e 500 dall’Arizona.

Finora la questione sta procedendo con il massimo della calma e della trasparenza. Sono molto meno, a confronto, le firme della petizione che chiede di “deportare chi firma per la secessione”: 25mila in tutto, meno di una singola petizione indipendentista, circa un quinto del numero raccolto dai secessionisti texani. Finora tacciono le polemiche e pure i cannoni, solo perché gli indipendentismi non sono ritenuti “cosa seria”. E se lo diventassero? Da che parte dovrebbe stare un uomo che ha a cuore la libertà? I nuovi “sudisti” non vogliono imporre la schiavitù. Non vogliono ripristinare forme di segregazione razziale. Non chiedono altro che più libertà economica. E soprattutto: mettono in discussione il contratto sociale. Che per un liberale è necessariamente volontario. Altrimenti che contratto sarebbe? L’unica soluzione che rispetti la loro volontà è un referendum. Votino e decidano. Se secedono, nessuno muore. Si muore solo se è il governo centrale ad impuntarsi (per interesse, o per ideologia, o per entrambe le cose) e a scatenare una guerra.

Sono cose da americani, direte voi? No, sono cose da europei. Molto più vicine a noi. In Spagna, la Catalogna ha votato domenica e nel parlamento catalano, ora, ci sono 87 secessionisti su 135 deputati. Se non fossero divisi in 4 diversi partiti, dichiarerebbero l’indipendenza oggi stesso. Il governo di Madrid concederebbe loro la possibilità di fare un referendum? O manderebbe loro i carri armati?

Stefano Magni

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