È in distribuzione un nuovo libro edito da Libertateslibri, la casa editrice di Libertates:
Piazza Caporetto, Controstoria della Grande Guerra
di Stefano Magni (pag 144 € 10), il libro può essere ordinato direttamente dal nostro store online a questo link.
Perché un libro di narrativa? E di storia alternativa? Da Libertates siete abituati a leggere saggi, di politica interna ed estera, ma non narrativa. E soprattutto, da italiani, vi starete chiedendo che senso abbia un romanzo di storia alternativa, o ucronia, un genere letterario che piace ai popoli anglo-sassoni, ma che è poco battuto, conosciuto e riconosciuto in Italia.
Ebbene, proprio per sfidare l’atteggiamento degli storici italiani, quasi tutti di estrazione marxista, un’ucronia è quanto mai opportuna. Per i marxisti, così come per i deterministi di ogni colore, la storia ha un senso ineluttabile verso cui l’umanità deve necessariamente dirigersi. Proprio per questo ogni giudizio morale sui fatti storici, a loro avviso, è perfettamente inutile: un bel modo per imporre il loro punto di vista, morale e politico, senza possibilità di replica. La storia alternativa è invece indispensabile se vuoi esprimere un giudizio politico e morale sugli eventi storici. L’importanza di un fatto si può comprendere solo chiedendosi “e se non fosse avvenuto?”, “e se si fosse concluso con l’esito opposto?”, il giudizio morale si può esprimere solo ponendoci la questione “il mondo sarebbe stato un posto migliore o peggiore in cui vivere?”. Con i Comitati delle Libertà abbiamo sempre celebrato la memoria delle oltre 100 milioni di vittime dei GuLag comunisti, un fenomeno non solo storico ma ancora attuale, purtroppo, in Corea del Nord e in Cina. Non a caso celebriamo la memoria delle vittime del comunismo il 7 novembre. Quel giorno del 1917 i bolscevichi presero il potere in Russia, si imposero con la forza prima al loro paese e poi a un terzo del globo. Sicuramente, salvo che per i comunisti irriducibili, quella data segna l’inizio di un mondo peggiore in cui vivere. Per capirlo appieno dobbiamo chiederci, seriamente e con il massimo realismo possibile, quanto sarebbe stato migliore il mondo, se non ci fosse stato quel 7 novembre. Quanto saremmo stati tutti meglio, se i bolscevichi non avessero preso il potere, quel giorno?
L’Europa in cui viviamo oggi è un condominio di Stati nazionali unitari, ben poco integrati fra loro, sovrastati da un’unica burocrazia continentale che non riesce a ispirare alcun senso di appartenenza comune. E già è un paradiso rispetto a quel che era fino al 1989, quando il cuore del Vecchio Continente era nelle mani dell’Armata Rossa, sotto il controllo totalitario di regimi fantoccio dell’Unione Sovietica. Eppure, fino a un secolo fa, una sorta di unità europea esisteva già, nelle regioni centrali del Vecchio Continente, al di qua e al di là di quella che sarebbe diventata la “cortina di ferro”, in Galizia, addirittura, al di là e al di qua dei futuri confini dell’Urss. Si chiamava Impero Austro-Ungarico, aveva una tradizione quasi millenaria, avrebbe potuto riformarsi in senso federale e diventare la base di una più solida unità europea. Col senno di poi, nonostante la secolare retorica contro la “prigione dei popoli”, possiamo dire, da liberali, in tutta sincerità, che era meglio se fosse sopravvissuto. E’ lecito chiederci quanto sarebbe stata migliore un’Europa con gli Asburgo, quanto avremmo vissuto meglio nel corso del Novecento se Carlo I, l’ultimo imperatore, avesse avuto il coraggio di chiamarsi fuori dal conflitto nel 1917, salvando la sua corona e un’intera civiltà.
L’Italia ha vinto la guerra del ’15-18, ma tutto quel che ha subito successivamente ha rovinato completamente il senso della vittoria. Abbiamo avuto la questione di Fiume, il Fascismo, un’infame alleanza con il regime genocida di Hitler, una guerra persa e una guerra civile che non è mai del tutto realmente finita. Tutto ciò ha un’origine che porta il nome di una delle battaglie (purtroppo per noi) più famose della storia: la sindrome di Caporetto. Con quella disfatta, l’Italia ha perso fiducia in se stessa: tuttora gli storici si interrogano se si sia trattato semplicemente di una grande sconfitta militare o di un vero cedimento della società nel suo complesso. La riscossa del 1918, con le vittorie del Piave e di Vittorio Veneto ha fatto rinascere, non la fiducia, bensì la rivalsa, la vendetta, il nazionalismo. Tutta quella miscela esplosiva di emozioni forti, insomma, che generò la sensazione di aver subito una “vittoria mutilata” e poi portò dritto al Fascismo. La nostra identità è schizofrenica, se così si può dire, proprio da quel 24 ottobre 1917 in cui fummo rovinosamente sconfitti a Caporetto. Quanto migliore sarebbe stata la nostra storia, quanto più in pace sarebbe stata la nostra coscienza, se avessimo vinto la battaglia, in quel maledetto giorno di ottobre? Sarebbe stato meglio per noi, sicuramente. E anche per gli austro-ungarici, che non avrebbero più avuto alcuno stimolo a suicidarsi con un altro, inutile, anno di guerra.
Il Medio Oriente è sempre al centro delle nostre preoccupazioni, soprattutto adesso che assistiamo impotenti all’affermarsi del nuovo regime totalitario islamico dai neri vessilli. La guerra mediorientale sembra infinita, ma ha avuto un inizio. Ed è sempre nel 1917, quando gli inglesi occuparono le province meridionali dell’Impero Ottomano, promisero una patria agli ebrei in Palestina, promisero una patria agli arabi in Siria e non mantennero le promesse, né con gli uni né con gli altri. Gli inglesi vinsero la guerra, ma persero la pace. Anche perché, quando la guerra finì, nessuno era realmente padrone del campo: l’Impero Ottomano si era disintegrato e gli inglesi non erano sufficientemente forti, finita la guerra, per imporre il loro volere. Anche il 1917 mediorientale ha reso il mondo (il mondo intero: il terrorismo islamico è internazionale) un posto peggiore in cui vivere. Col senno di poi sarebbe stato meglio se gli inglesi avessero vinto in modo più decisivo, un anno prima, lasciando però intatto l’Impero Ottomano, con le sue pluri-centenarie istituzioni. Un Impero riformato, debitamente depurato della sua classe dirigente militare genocida, obbligato a fare concessioni all’Intesa, come sempre si era fatto in tutto il secolo precedente con il “grande malato d’Europa”, sarebbe stato uno scenario già migliore rispetto a un Medio Oriente disintegrato, affidato a nazioni arabe non sufficientemente mature per l’indipendenza.
Sarebbe stato meglio per tutti, per i tedeschi e per chi ha subito la loro seconda aggressione nel 1939, se il loro esercito e la loro flotta avessero subito delle sconfitte inequivocabili e decisive in terra straniera e in acque internazionali. Una sconfitta onorevole, drammatica quanto si vuole, è meglio dell’annientamento. Avrebbe risparmiato loro l’onta della resa senza sconfitta e poi l’orrore della devastazione, dell’invasione e della spartizione della loro terra. Sarebbe stato meglio, per i tedeschi prima di tutto, se il kaiser stesso avesse accettato la sconfitta e avesse proclamato un solenne discorso di resa. Uno in cui avesse riconosciuto il suo primo dovere, quello di proteggere le vite dei tedeschi.
In sintesi: era meglio il mondo di ieri, quello liberale, quello conosciuto come Belle Epoque, quello in cui già prendeva forma la moderna globalizzazione e il futuro ispirava fiducia, non terrore. Era meglio se quel mondo fosse continuato, se avesse mantenuto le sue promesse di progresso scientifico e morale, se avesse dato i suoi frutti invece che partorire mostri totalitari. Quel mondo si è interrotto con lo scoppio della Grande Guerra, nel 1914. Ed è stato distrutto definitivamente nel 1917, con Caporetto, con la Rivoluzione Russa e con il terribile 1918, un anno di troppo nel conflitto mondiale, foriero di altri milioni di morti, dell’epidemia peggiore della storia e della diffusione dei virus totalitari. Noi, per questo, preferiamo far finire la guerra nel 1917, almeno nella nostra immaginazione e preservare il mondo di ieri. Immaginare un mondo più libero, almeno sognarlo, è possibile. L’unico modo per parlarne è farlo con un libro di narrativa. L’unico modo di dirlo è preceduto da un “se”.