Nel caso del Montepaschi di Siena accanto al “groviglio armonioso” dei poteri locali esiste un altro problema: il presupposto della liceità d’indebitamento a carico dello stato di ogni iniziativa fallimentare
In tanti abbiamo avuto occasione di seguire gli ultimi coraggiosi contributi su “Report” di Rai Tre, programmati da Milena Gabbanelli con l’ausilio di interviste calzanti e precise per argomentazione dalla sua équipe di lavoro. Tali ‘reportage’ hanno interessato l’intreccio di interessi gravitanti intorno alla “Hera” di Bologna e la triste vicenda del declino della più antica e gloriosa Banca italiana, il Monte dei Paschi di Siena, di Piazza Salimbeni. Molto già era stato detto e scritto in sede pubblicistica negli ultimi otto anni, sul punto. Ma l’evidenza “filmica” delle immagini e la diffusività del discorso portato all’attenzione del grande pubblico, tramite i “media” ( siamo nell’ età dell’accesso, come dice Rifkin ), propongono inevitabilmente alcune riflessioni. Oltre alla umana pietà per la fine dell’amministratore Davide Rossi, di cui il servizio offre una attenta ricostruzione, occorre ben fermare che il disastro provocato dal cosiddetto “groviglio armonioso” tra Banca, Fondazione, Partito, Comune di Siena, Regione Toscana, Banca Antonveneta sovrastimata attraverso l’acquisizione via Santander, e poi ancora falsa imputazione a bilancio dei fondi “derivati” alexandria e Santorini, intrecci con l’Opus Dei e lo Ior vaticano via Grande Oriente, siffatto disastro nasce anzitutto dal presupposto di “liceità d’indebitamento’ a carico dello Stato di ogni fallimentare ed opportunistica esperienza amministrativa. Né è tutto, dal momento che altri filoni emersi in sede giudiziaria possono esser recuperata nell’analisi: ad es., la famosa operazione “Re Nero”, condotta dal Monte con vagoni di contanti in Euro fatti sbarcare alla Sede della Banca d’italia a San Marino ( altro caso clamoroso ): l’operazione Banca 121 nel Salento; la partecipazione a complessi turistici sul Gargano ( Julia Residence, a Peschici ) e tant’altro. Si comprenda la comune e legittima “indignazione”, anche perché tutto ciò rischia d’inficiare, direttamente o indirettamente, la stessa libertà di pensiero e di produzione culturale. Gli stessi Organismi, consorterie e Gran Maestri sono gli stessi che promuovo Giornali, Convegni, Premi giornalistici, pubblicazioni, in una parola “organizzazione del consenso”. Che non paghi lo Stato, ossia il complesso dei cittadini, tutto ciò. Non ha “vinto”, certo, il capitalismo ( come afferma qualche opinionista ); bensì, il malinteso “gramscismo” o “statalismo”, ovviamente Imbarbarito ( come nell’etimologia della parola “Bar-bar-o”, “figlio del figlio di lui”, in sede di filosofia della storia: Bernardino Frascolla interprete di Vico, bei nostri studi giovanili ). Il che vuol dire, fuor di metafora, salto dalla “liceità d’indebitamento” ai veri e propri “reati”.
Giuseppe Brescia