Che cos’hanno in comune Greta Thunberg e Anne Frank?
Niente naturalmente, a parte il fatto di essere diventate icone globali alla stessa età, sedici anni. Una è attuale, triste e imperturbabile persino quando i supporter dell’antiriscaldamento climatico la propongono per il Nobel. L’altra ci sorride dalla lontananza dell’anno 1945, dolce e allegra come dovrebbe esserlo una ragazzina che ignora gli orrori dei lager e di Bergen-Belsen.
Eppure qualcosa avvicina l’attivista con le trecce alla giovanissima vittima dei nazisti: l’uso spregiudicato della loro immagine innocente. Che Greta Thunberg sia stata scritturata nel cast della start up We Don’t Have Time, e poi lanciata come un prodotto di marketing, non sorprende, e forse neppure indigna più di tanto. Le manipolazioni compiacenti dei media, per chi ha vissuto la stagione del sessantotto e delle sue utopie, sono storia vecchia. Un segnale ben più inquietante, invece, viene dalla strumentalizzazione sempre più diffusa del volto di Anne Frank. Quando Greta Thunberg ancora non si preoccupava del CO2, nel 2013, un fotomontaggio col volto di Anne è apparso su Twitter nel giorno dedicato alla Shoah, accompagnato dallo slogan: “oggi voterebbe il movimento 5 Stelle”. Dopo sei anni, la trovata propagandistica continua a circolare sul web, ottenendo like e condivisioni. Un po’ come la diffusione dei ritratti in cui la povera Anne, dopo essere finita sulla gogna dei tifosi laziali con la maglia della Roma, è riapparsa con le divise di Milan, Inter, Juventus e Napoli. Scatenando lo spirito d’emulazione in altri sport, come la Giostra del Saracino di Arezzo, dove è stata ritratta in sella a un cavallo, tenendo le redini e ostentando la casacca del quartiere di Porta Sant’Andrea.
Poco interessa, naturalmente, il fatto che la cultura claudicante di tanti millennial non permetta loro di conoscere la sua storia, e il valore della memoria. Perché è stato sufficiente accostarla a un altro personaggio famoso per scatenare l’audience mondiale, come è avvenuto con la pop star canadese Justin Bieber. Anni fa, dopo aver visitato l’alloggio segreto dei Frank ad Amsterdam, divenuto museo della Shoah, il cantante ha scritto sul libro dei ricordi: “magari sarebbe diventata una mia fan”. Senza immaginare che sarebbe stata scambiata da milioni di ragazzini per la sua ultima fiamma.
Ma poi, più di recente, ecco l’icona di Anne ritratta all’ingresso di un concerto rock con la regolamentare maglietta. E poi ancora nei tweet per Giulio Regeni il giorno della sua nascita, e in immagini commerciali su Amazon, tra vestiti di carnevale ispirati a quelli che lei indossa nelle fotografie. Continuando con i murales pacifisti; la rielaborazione pop del suo viso dell’artista brasiliano di strada Eduardo Kobra; le estrapolazioni sui social di frasi tratte dal suo Diario nello stile dei Baci Perugina, o come testimonial di campagne pubblicitarie.
Destino amaro, quello di Anne Frank, e certo non augurabile nemmeno a Greta Thunberg. Perché, appena l’onda mediatica apocalittica, e i partiti pronti a sfruttarne le ricadute politiche, si sarà esaurita, altri esperti di marketing decideranno che la mela verde svedese è stata spolpata a dovere, ed è tempo di innalzare qualcun altro all’altare della santa Innocenza.
(da “Italia Oggi”)
di Dario Fertilio