Un inno nazionale è soprattutto un segno di appartenenza a una cittadinanza
La cittadinanza non è un regalo, un’etichetta qualunque. E’ conquista quotidiana. La cittadinanza è il patto fondamentale della comunità. Questa può essere monarchica, repubblicana, federale, ma alla base ha la cittadinanza: diritti e doveri. Alla radice questa ha secoli di crescita civile, l’impervio cammino tra aspri interrogativi: istruire? educare? conferire cittadinanza? Ma cittadini di che? Di uno Stato indipendente o di un paese che (come l’Italia) ha rinunciato a parti fondamentali della propria sovranità? Cittadini del mondo?
Certo tutti siamo fratelli sotto il cielo stellato. Però abitiamo il pianeta. In modi diversi. Parecchi sono costosi. Frutto di fatiche secolari. Se vogliamo, anche di sfruttamento di risorse altrui. Ma con ingegno che altri popoli non seppero sviluppare. La ruota è davvero geniale? Sì. Tutti ci potevano arrivare. Alcune civiltà, però, la intuirono e la rifiutarono.
La cittadinanza è il punto di arrivo di un percorso in salita. Certo il pianeta è stato devastato da un “Occidente” predatore, ingordo e miope. Questo stesso “Occidente”, tuttavia, nel tempo è divenuto un insieme di regole costruite a prezzo di fratricidi, guerre di religione, stermini infine approdati all’attuale Europa degli Stati: nulla a che vedere con l’Europa dei popoli e con gli Stati Uniti d’Europa. Questa flebile Unione Europea è un consorzio d’affari, un groviglio di contratti e di gesti cifrati come nei mercati d’antan, ove ci si intendeva facendo l’occhiolino o parando la bocca mentre si confidava il prezzo o si dicevano cose sconce. Proprio come in Parlamento.
Un Paese vero si fonda sulla cittadinanza. Ma questa non è solo iscrizione all’anagrafe. E’ appartenenza allo Stato, entità apparentemente astratta e lontana dalla quotidianità, eppure concreta e vitale. L’amministrazione, quella puntuale ed efficiente, è certo un collante utile tra i cittadini e le istituzioni. Però non esaurisce la civitas. Al di sopra vi è l’“idea” accomunante. Nell’Ottocento questa ebbe varie denominazioni. Su tutte prevalsero Nazione e Patria, che riecheggiavano un rapporto forte tra il cittadino e lo Stato, basato sulla “consanguineità”, non biologica ma ideale: un “patto” tra i “nativi”, come quello del coro del Nabucco di Verdi: il miglior inno nazionale per una terra (qual è l’Italia) che subì secoli di dominazioni straniere, conquistò indipendenza, unità e libertà, ma poi tornò sotto dominazione e ancora non se n’è liberata.
La cittadinanza non è un coriandolo che si getta per aria e ciascuno raccatta o calpesta a piacere. Essere cittadini è motivo di orgoglio.
Aldo A. Mola