La distanza tra la Dichiarazione dei diritti umani dell’ONU e quella della Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo mostra plasticamente la differenza tra le due concezioni dei diritti umani
La Dichiarazione dei diritti umani compie settant’anni… di belle speranze. Fu solennemente approvata dall’Assemblea dell’Onu che in via eccezionale si radunò non a New York, sua sede dalla fondazione (25 giugno 1945), ma a Parigi, ove nel 1789 era stata proclamata quella dei Diritti dell’uomo e del cittadino, sulla scia della Dichiarazione d’indipendenza della Nuova dalla Vecchia Inghilterra.
Fu la Dichiarazione dei diritti umani del 10 dicembre 1948 a definire i “diritti, uguali e inalienabili, fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”, la libertà di parola e di credo, dal timore e dal bisogno, “senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. A firmare la Dichiarazione furono i rappresentanti di Stati componenti delle Nazioni Unite, consapevoli che il cammino della sua applicazione effettiva sarebbe stato lungo. Richiedeva l’impegno a imprimere una svolta effettiva dell’umanità dopo due guerre mondiali, i totalitarismi e le sanguinose guerre civili che avevano devastato tanti paesi. Per dare corpo ai propositi, in specie all’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, occorrevano “l’insegnamento e l’educazione”: una “missione” quotidiana come intuito nel Sette-Ottocento dai grandi pedagogisti (quasi tutti massoni) fautori dell’istruzione elementare obbligatoria e gratuita, della scolarizzazione universale, della libertà della ricerca scientifica e dell’investimento delle sue conquiste a beneficio dell’umanità anziché di potentati politico-militari o finanziari.
La Dichiarazione Universale fu sottoscritta da Stati che ancora non erano né poi divennero modelli di libertà e civismo: Afghanistan, Birmania, Cina, Cuba, Iran, Pakistan, Siria e Turchia. Che la Dichiarazione fosse molto più coraggiosa del Preambolo e dello Statuto dell’Onu fu confermato dalla polemica astensione di otto Paesi di grande peso quali l’URSS e i suoi satelliti (Ucraina, Bielorussia, Cecoslovacchia, Polonia e Jugoslavia; Bulgaria e Germania orientale erano tra i vinti, come l’Italia, e quindi escluse dall’ONU), contrari al riconoscimento del diritto alla proprietà privata quale libertà, il Sudafrica (ove dominava l’apartheid) e, per tutt’altri motivi, l’Arabia Saudita.
L’astensione dell’Arabia Saudita fu la premessa della lunga elaborazione della Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo in 23 articoli. I suoi principi vennero anticipati dall’iranico Said Khorasani. Ripetutamente rielaborata essa prende le distanze da quella dell’ONU, considerata di ispirazione giudaico-cristiana, mentre è di matrice greco-romana-illuministica. Secondo la Dichiarazione islamica i diritti sono indicati dal Creatore, sono quindi “legge divina”. L’articolo 12 stabilisce che “ogni persona ha il diritto di pensare e di credere e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia” ma solo “fino a che rimane nel quadro dei limitI generali che la legge islamica prevede a questo proposito”.
Tale caposaldo evidenzia la distanza secolare tra la concezione “occidentale” dei diritti umani e quella musulmana: un divario spesso non percepito nello stesso Occidente perché questo ha da secoli affermato e poi via via attuato la separazione tra Stato e Chiesa, proprio in nome della libertà di religione e quindi della spiritualità stessa, che si può manifestare nei modi e nei riti più disparati o non prendere affatto corpo in “organizzazioni” e rimanere “foro interiore”.
di Aldo A. Mola