Spesso il calcio non è solo sport ma anche insegnamento di vita: l’esempio della nazionale italiana non è proprio il massimo del vivere civile
Il recente 2-0 della nazionale italiana di calcio sul Belgio al debutto agli Europei, lascia una sensazione di grottesco, al di là del furore agonistico già di per sé eccessivo della partita. Tutto ciò è conseguenza dell’utilizzo delle tecniche motivazionali e dei corsi (per esempio di PNL) nello sport. Risultato, un calciatore mediocre, ma ben motivato psicologicamente e fisicamente allenato, raggiunge notevoli livelli. Come, “mutatis mutandis”, un manager in un’azienda.
Si pensi alla partita di Lione. Neanche in presenza del grande capo della multinazionale che sottomette i dipendenti con le più “crudeli” tecniche. Si pensi alla telecamera che coglie l’allenatore Antonio Conte che, perso un pallone a centrocampo, urla ai suoi: “Vi ammazzo!”. Ma anche a quanto dichiarato dall’autore del primo gol, Emanuele Giaccherini: “Se sbagliavo, il mister mi tagliava i piedi”. Per non dire della foga di Antonio Conte nel festeggiare il vantaggio, che gli ha procurato sanguinamento dal naso per tutto l’incontro.
E’ vero. Si dirà, questi sono i tempi e ciascuno si difende e fa quello che può. E quale differenza coi “caterpillar “ e “lanciafiamme” di Matteo Renzi e le “bastonate nel confessionale” di Papa Francesco? Ma la nazionale di calcio è un simbolo di una nazione e la partita è guardata anche dai bambini. La nazionale quindi ha anche una funzione etica. Che cosa deve pensare un giovane calciatore delle squadre giovanili? Se il successo calcistico è metafora di quello professionale, che cosa dire a un giovane?
Ernesto Vergani