Un inno all’Italia che fu
L’Italia, un secolo e mezzo addietro, nel 1867, entrò nella Comunità Internazionale come Stato sovrano e guardò al Mare Nostrum e al di là di Suez, con pionieri come gli antichi garibaldini Nino Bixio e Giambattista Pirelli che dal salgariano Mare della Sonda procacciavano il caucciù. Genova era ancora la Superba.
Quell’antica storia è attualissima. L’Italia era Mediterraneo ed Europa, una fucina di Idee, energie, vaticini. Non di chiacchiere propinate da una manciata di vanitosi che, artigliato il dominio su un partito consunto, vogliono farne pedana per il proprio dominio assoluto a tempo indeterminato sull’intero paese. Costoro nulla sanno della Patria, dell’Italia delle Cento Città, che non si rassegnerà mai a subire un altro tiranno, votato da un magro 20% degli aventi diritto.
Comprendiamo la drammatica afonia del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Dovesse mai inviare un messaggio alle Camere a chi lo manderebbe? A un Senato condannato a morte dalla “banda” Renzi-Boschi-Verdini? A una Camera incostituzionale e di transfughi? Questo è il Parlamento che applaudì freneticamente Napolitano quando, rieletto presidente, lo schiaffeggiò con un’arringa subito dimenticata.
Il vento soffia dove vuole e per ora non riporta eco del Verbo. Vanitas vanitatum. Come l’Europa dei Popoli. Mai esistita, perché quest’Europa (un fantasma senza corpo) non ha mai fuso insieme ciò che davvero conta: armi e politica estera. Ha massacrato i Balcani, la Libia, la Siria. Che altro? Con o senza Albione, codesta “Europa” vaga immemore e senza meta. Altri Popoli di altri Continenti sono già il futuro, anche grazie a imprese italiane, come la Salini Impregilo nel Canale di Panama: realtà ignorate in questa minuscola buro-Italia fatuamente anglicizzante e sempre più in ritardo sul Tempo.
Aldo A. Mola