Abbiamo tutti visto quanto successo in Sicilia in questi giorni: la Regione vicina al default (in cassa non c’erano neppure i soldi per pagare gli stipendi), il Governo cha va in suo soccorso, il governatore Lombardo che si dimette tardivamente.
Le cause della situazione sono chiare a tutti, cominciando dai reati veri e propri commessi da una classe politica inefficiente e corrotta (la definizione vale per l’italiana in genere e la siciliana in particolare). Ma si è arrivati a questo punto soprattutto per una serie di precise scelte economiche e politiche: assunzioni clientelari, lavori “socialmente utili”, uffici ed enti inutili che hanno portato la Regione Sicilia ad essere la più grande (se non unica) impresa della Sicilia: 144.000 dipendenti (tra cui 28.000 forestali). Lo stesso ex presidente dell’Assemblea regionale ha dichiarato che, indubbiamente, ci sono stati degli eccessi ma che, stante le condizioni economico-sociali della regione, è impossibile applicare alcun correttivo (cioè ridurre il numero dei dipendenti) senza provocare un’esplosione della protesta sociale: cioè, continuiamo così perché non si può fare altrimenti.
È un esempio paradigmatico di come si concepisce la funzione dello Stato: non come qualcosa che debba fornire i servizi e le strutture necessarie perché i cittadini possano avere possibilità di lavorare, creare ricchezza e altri posti di lavoro, ma qualcosa che dispensa stipendi più o meno di sussistenza a sudditi devoti e obbedienti: una specie di carità di stato che lascia in stato di bisogno e di dipendenza i propri cittadini.
Un esempio di quanto da sempre sostengono i Comitati: occorre più mercato libero, più concorrenza, più trasparenza, uno Stato che consideri gli italiani come cittadini a cui fornire i servizi che si aspettano in cambio di una tassazione tra le più alte e non come sudditi da accudire “dalla culla alla tomba” elargendo loro carità (“pelosa”) e sussidi.
Angelo Gazzaniga
Portavoce dei Comitati per le Libertà