il parere di un importante politologo sulle esternazioni dell’ex Presidente del Consiglio
E’ difficile non provare una certa pena per l’uomo, leggendo l’articolo pubblicato da Matteo Renzi su ‘la Repubblica’ del 5 luglio u.s.”Allarmisti sui migranti pavidi sullo ius soli. Ecco le colpe del PD”. Viene in mente, infatti, un fenomeno che spesso si ripete nella storia, specie in quella italiana: I tempo: un giovane leader della sinistra si mette a capo di un vasto movimento di opinione pubblica nell’intento di superare i limiti culturali e ideologici della sua vecchia formazione politica con un ambizioso progetto riformista che, per un momento, lo porta sulla cresta dell’onda; II tempo: in seguito ai suoi errori e alla sua oggettiva inadeguatezza a reggere sulle proprie spalle un fardello troppo pesante, il leader viene costretto ad abbandonare la scena pubblica e a ritirarsi in un silenzio che non lascia trapelare le sue intenzioni (fonderà un nuovo partito? abbandonerà la politica?);III tempo: il leader riemerge con una volontà di revanche che lo spinge a riaccostarsi ai suoi antichi avversari di partito, i ‘puri’ rimasti a sinistra senza aver nulla appreso dalle lezioni della storia. Se a separarli non fosse la diversa statura intellettuale e morale, Renzi ricorderebbe il Mussolini della Repubblica Sociale che dopo vent’anni di giolittismo autoritario si riaccostava ai sansepolcristi e ai loro programmi radicali. Conviene, comunque, mettere da parte queste imbarazzanti analogie ed entrare nel merito del j’accuse rivolto dal ‘ragazzotto fiorentino’ (come lo chiamava il mio compianto amico, Piero Ostellino, attirandosi le mie critiche….ma aveva ragione lui) agli attuali dirigenti del PD. Premetto che non intendo discutere le opinioni di Renzi sui temi da lui toccati—la questione migranti, le tre emergenze dell’Italia (denatalità, legalità, educazione), la globalizzazione. In democrazia è fisiologico che problemi così complessi e aggrovigliati dividano i cittadini, i partiti, le scuole di pensiero. Come insegnava il grande Bertrand de Jouvenel –nel finto dialogo, da lui immaginato, tra Socrate e Alcibiade–in politica non si danno soluzioni ma compromessi, giacché se in ‘etica non c’è verità’— come insegnava il filosofo del diritto Uberto Scarpelli—in politica ce n’è ancora meno, dal momento che essa non è il ring su cui si battono la Ragione e il Torto ma la dimensione in cui si confrontano ragioni diverse, interessi diversi, valori diversi che debbono trovare un modo istituzionale per evitare l’hobbesiana guerra di tutti contro tutti. Alla luce di queste considerazioni, che vado ripetendo da anni nei miei articoli e saggi, debbo dire che ho visto nell’articolo di Renzi l’ennesima espressione dell’analfabetismo liberale degli Italiani, fatto di arroganza, di mezza cultura, di irritante ipocrisia. Vediamone qualche scampolo.
di Dino Cofrancesco