Secondo alcuni Pubblici Ministeri il GUP (giudice che controlla la validità delle indagini prelimnari) dovrebbe appiattirsi sulle richieste dei PM: una richiesta al di fuori di qualunque sistema democratico
Viviamo in un paese in cui la stampa dell’intellighencia di sinistra straparla della “Propaganda 2” (le procure sarebbero sottoposte al sempiterno controllo della politica!), e invece siamo arrivati ad una patologia tecnicamente totalitaria dell’ordinamento giudiziario: lo strapotere del pubblico ministero ha raggiunto vette così alte che il PM vede la propria immagine riflessa negli stessi organi di controllo dell’amministrazione della giustizia. Volete le prove? Eccole: a leggere la relazione ansiogena della dottoressa Cecilia Carreri presso il Tribunale di Vicenza intitolata “La soglia probatoria richiesta per il rinvio a giudizio” non si sa se ridere o se piangere. Eccone i passaggi salienti: “Poiché al giudice sono assegnati tutti gli atti di indagine e lo stesso indagato ne ha integrale conoscenza, vi è da chiedersi con quale ampiezza e contenuto di poteri il giudice possa deliberare sulla richiesta del pubblico ministero. La Corte Costituzionale sostiene che l’udienza preliminare “non è mai stata concepita come strumento di accertamento della verità materiale” ma come una fase processuale non di cognizione piena che esclude “una valutazione approfondita del merito dell’imputazione” o di tipo prognostico sulle prospettive di condanna o assoluzione dell’imputato”. Attenzione, perché come rileva la dott. Carrer iè nel seguente dettaglio che si verifica un persistente vuoto normativo del legislatore tale da aprire la strada al neototalitarismo giurisdizionale del PUBBLICO MINISTERO ante-processo (sic!) : “Ciò viene descritto dalla dottrina col dire che il giudice in questa fase è giudice di rito e non di merito e la stessa Corte Costituzionale ribadisce che “la regola di giudizio assegnata al giudice dell’udienza preliminare (Gup, nda) attiene al rito e non al merito”. Tradotto dal giuridichese, ancorchè già semplificato al massimo: il gup, che per definizione è giudice di merito dal momento che deve respingere o apprezzare una richiesta del p.m. di archiviazione e/o alternativa,è costretto a comportarsi come un notaio nei confronti del magistrato requirente appiattendosi sulle sue richieste! Una simile situazione non ha obiettivamente riscontro in nessun’altra democrazia europea. Sul terreno di una problematica così delicata che investe la qualità stessa delle garanzie processuali si è verificato uno scontro fortissimo tra la Consulta, che secondo chi scrive difende troppo “garantisticamente” i pubblici ministeri, e la Corte di Cassazione testimoniando la crisi di credibilità in cui versa ormai la tripartizione materiale dei poteri. Ancora efficace è la sintesi della Carreri: “Secondo la Corte (Costituzionale, nda), poiché il giudice deve soltanto valutare se è necessario il dibattimento, “ove la prova risulti insufficiente o contraddittoria l’adozione della sentenza di non luogo a procedere potrà dirsi imposta soltanto nei casi in cui si appalesi la superfluità del giudizio” cioè qualora “l’eventuale istruzione dibattimentale non possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatoria”.
Cioè-sembra uno scherzo ma è tutto vero-il processo potrà fornire utili apporti per superare quell’insufficienza probatoria preesistente che non consentirebbe il processo stesso! Come a dire, il pubblico ministero ha comunque sempre ragione…Leggendo il codice penale senza interpretazioni strumentali di sorta, invece, che i giudici costituzionali sembrano fare loro“…nel giudizio ordinario…la prova insufficiente o contraddittoria, porta unicamente all’assoluzione (art. 530 comma 2 c. p. p. ) “. In una giustizia furbescamente creativa che si traduce in plateali trattamenti“contra-personam” verso l’imputato, “il rinvio a giudizio si giustificherebbe anche quando vi è la “necessità di consentire nella dialettica del dibattito lo sviluppo di elementi ancora non chiariti”. Di diverso avviso è la Cassazione…”.C’è un’affermazione nella relazione presso il Tribunale di Vicenza che va condivisa alla lettera, soprattutto perché l’espressione “sviluppo di elementi ancora non chiariti” può portare a processo sulla base soltanto dell’artificiosa costruzione di teoremi accusatori, con la scusa che si deve approfondire oltre il termine massimo di scadenza delle indagini-che vuole il PM sovrano assoluto dell’azione penale: “Il giudice dell’udienza preliminare è, infatti, garante dell’azione penale, sia durante le indagini, quando controlla le inerzie del P.M. rigettando la richiesta di archiviazione, sia all’udienza, quando si oppone ad accuse azzardate o infondate, prosciogliendo nel merito”. E dunque non può essere un giudice di rito, cioè di passaggio.
Tuttavia questo elementare fatto di diritto, che caratterizza la conditio sine qua non dello Stato di Diritto, non avviene poiché il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale è assoluto in un ordinamento complessivo ingessato dall’anti-fascismo come è quello italiano. Il punto è che se c’è un giudice obbligato dalla realistica osservazione dei fatti a scrivere che: “Solo una valutazione di merito pieno ed effettivo circa ilpronostico di “elevata serietà e fondatezza della proposizione accusatoria…può giustificare il processo” e, inoltre, che “Se il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, infatti, non è assoluto ma va razionalmente contemperato col fine di scongiurare processi superflui, la soglia probatoria per il rinvio a giudizio va determinata alla stregua di questo principio”, vuol dire che le cose non vanno affatto in tale direzione, e che processi superflui sono possibili (sic!) nel vuoto normativo preesistente.
La Repubblica Italiana è arrivata al capolinea?
Alexander Bush