“Il pensiero non è separato dalla realtà ma ne fa parte”
George Soros
“Chi chiese l’archiviazione di “Mafia-Appalti?”
Piero Sansonetti ad Antonio Di Pietro, Omnibus
“Dillo tu!”
La condanna in primo grado di Piercamillo Davigo a 1 anno e 2 mesi di carcere per rivelazione di segreto d’ufficio è il segno della fine di un’epoca.
Sta crollando il feticcio dell’obbligatorietà dell’azione penale in questi giorni e anni, che nella sua versione fanatica è la fonte di legittimazione in sede teorica delle peggiori pratiche criminose di occultamento delle indagini e manomissione della verità. Perché è il totalitarismo dell’auto-governo della magistratura per dettato costituzionale.
Ho letto in un articolo di Marco Franchi del 22 ottobre 2023 su Fq – che non è proprio il giornale preferito da chi scrive – “Giustizia, 1.000 giudici e pm contro Nordio”: “La separazione delle carriere è pericolosa” – di una petizione firmata dal procuratore di Ascoli Piceno, Umberto Monti contro la separazione delle carriere in magistratura, il cui contenuto è illuminante. “Le idee hanno conseguenze”, diceva Friedrich Hayek. E le false credenze sono sorrette dall’ideologia.
Franchi osserva che “… La documentazione con tutte le firme è stata inviata alla premier Giorgia Meloni, al ministro Nordio, ai presidenti delle commissioni giustizia e ai presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. Tra i sottoscrittori spiccano i nomi dei procuratori, Nunzio Fragliasso (Torre Annunziata), Nicola Gratteri (Napoli), Pino Montanaro (Taranto), e degli aggiunti Giuseppe Cascini (Roma) e Tiziana Siciliano (Milano) e di Piergiorgio Morosini, presidente del Tribunale di Palermo.”
Orbene, questo documento è la confessione inconsapevole dell’“auto-condizionamento” ideologico in cui sono caduti magistrati, costituzionalisti e avvocati vittime dei paralogismi tanto cari a Immanuel Kant, atteso che separare le carriere tra pm e giudici non vuol dire rinunziare con ciò stesso al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale costituzionalmente in vigore, ma vuol dire “democratizzarlo” dall’interno.
Cioè l’art. 112 della Carta – l’ufficio del Pubblico Ministero ha il dovere di procedere, se è in possesso della “notitia criminis” – è valido genericamente, ma è invalido se preso alla lettera poiché determina pratiche illecite di autogoverno giudiziario.
Tuttavia, paradossalmente, lo osservano senza rendersene conto gli stessi sottoscrittori del testo della petizione (sic!). Vediamo come, ancorchè ad un attento esame del documento.
“Ecco di seguito il testo della petizione.
I sottoscritti magistrati in servizio, giudici e pubblici ministeri, esprimono la più viva preoccupazione per la riforma costituzionale che si propone di introdurre la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, e condividono pienamente al riguardo il documento firmato da 576 magistrati in pensione e che si allega.
Una riforma che non porterebbe alcun beneficio sul piano della rapidità ed efficacia del sistema penale e della risposta alle aspettative di ciascuno per una giustizia giusta, imparziale ed equanime.
Una riforma che, pur in assenza di tali benefici, comporta i rischi concreti (che sembrano esserne il vero “motore”) verso una dipendenza gerarchica del Pubblico Ministero dal Governo e un controllo da parte della maggioranza politica sull’esercizio della azione penale e sulla conduzione delle
indagini; controllo sul Pubblico Ministero e sull’esercizio della azione penale che sarebbero una ineludibile conseguenza della separazione delle carriere e della discrezionalità dell’azione penale di cui la riforma pone le chiare premesse (tant’è che nella quasi totalità dei Paesi dove vi è la separazione delle carriere vi è anche la dipendenza dei PM dal Governo, con la differenza non secondaria in molti di tali Paesi della presenza del Giudice Istruttore a presidiare la indipendenza e imparzialità delle indagini).”
Siamo davvero nel campo dei paralogismi in relazione al “falso verosimile”.
Due osservazioni “contro-deduttive” immediatamente s’impongono, nella deideologizzazione dell’argomento. 1) Se nella quasi totalità dei Paesi dove vi è anche la dipendenza dei PM dal Governo, “con la differenza non secondaria in molti di tali Paesi della presenza del Giudice Istruttore a presidiare la indipendenza e imparzialità delle indagini”, ciò significa molto chiaramente che la separazione delle carriere è compatibile con l’ordinamento democratico (sic!), 2) è una deduzione errata dire che, separando le carriere, una ineludibile conseguenza di ciò sarebbe la dipendenza gerarchica, del Pubblico Ministero dal governo, e il controllo sull’esercizio dell’azione penale da parte dei politici.
In Francia il Ministro della Giustizia coordina verticisticamente l’azione penale, ma Sarkozy è messo in carcere per aver preso soldi dal Muammar Gheddafi e rischia una nuova condanna in Cassazione per corruzione in atti giudiziari. 3) Carlo Nordio, al netto di qualche gaffe sul piano comunicativo come osservato dal raffinato analista Stefano Folli, non ha mai dichiarato di voler abrogare il principio fissato dall’art. 112 della “Costituzione più bella del mondo”. Perché non è sua intenzione farlo, come ha più volte ribadito. E poi anche la legalitaria Giorgia Meloni non lo permetterebbe.
George Soros, infatti, sostiene che la teoria è parte della realtà assumendo il principio della riflessività dei fenomeni umani.
Orbene, ideologia e crimine si sorreggono a vicenda; la questione dell’insabbiamento del cosiddetto dossier “Mafia-Appalti” da parte del “nido di vipere” della Procura di Palermo, cioè la mancata celebrazione del processo “Mafia- Appalti”, è connessa alla degenerazione dell’art. 112. Una magistratura controllata da se stessa che non permetteva a Giovanni Falcone di separare le carriere non ha reso possibile far confluire l’eredità del maxiprocesso nell’imputazione “Mafiopoli”.
Oggi sappiamo che Roberto Scarpinato fece il “doppio gioco” con Paolo Borsellino, pugnalandolo alle spalle pochi giorni prima della strage di via D’Amelio. Leggo nell’articolo di Marco Lillo “Falcone, Borsellino e il circo di parole tradite in Antimafia”, che: “La Commissione Antimafia oggi ha l’occasione di correggere la rotta.
L’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino (54 anni) e avvocato di parte civile della moglie e dei suoi fratelli minori Manfredi (52 anni) e Fiammetta (50 anni) ha parlato per ore nelle ultime tre audizioni sostenendo con vigore la necessità di indagare anche sul “nido di vipere” della Procura di Palermo diretta da Pietro Giammanco nel 1992.
Trizzino però non invita a indagare solo sul defunto Giammanco ma anche sulle lacune di altri colleghi di Borsellino nelle prime indagini nate dal dossier “Mafia-appalti” confezionato dal Ros dei Carabinieri. Paolo Borsellino, per Trizzino, non avrebbe mai permesso e non conosceva la richiesta di archiviazione delle indagini su Mafia-Appalti del 13 luglio 1992, firmata anche da Roberto Scarpinato. E, per l’avvocato, sulla storia di quel dossier poco valorizzato bisognerebbe scavare per capire la ragione dell’accelerazione della strage di via D’Amelio.”
Come in un rovesciamento della logica da Fiera della Vanità, il presunto traditore di Paolo Borsellino Roberto Scarpinato è intervenuto in pieno conflitto d’interessi come se fosse egli stesso il presidente della commissione antimafia (sic!), anziché persona informata sui fatti rispetto all’occultamento di una “notitia criminis” che appare causalmente collegata all’accelerazione del mandato omicidiario di via D’Amelio. Apprendo sempre da “Il Fatto Quotidiano” che “venerdì 6 ottobre (2023, ndr) Roberto Scarpinato è intervenuto in Commissione antimafia, durante l’audizione di Fabio Trizzino… Scarpinato, chiamato in causa, ha iniziato a rivolgere domande ai convenuti in un tono, a giudizio della presidente Colosimo, un po’ troppo “inquisitorio” rispetto alla sede parlamentare. Così la presidente a un certo punto ha bloccato l’ex magistrato e gli si è rivolto contro ad alta voce: “Senatore, sono venti minuti che lei interviene e qui non siamo in un’aula di tribunale”.
Un quadro oggettivamente raggelante. Se si tiene conto del fatto che Scarpinato fa parte del partito di opposizione alla riforma della giustizia insieme ai Davigo e Gratteri; non sono due fatti separati, ma parte dello stesso discorso.
Continuava Lillo, facendo l’avvocato di Scarpinato: “Fin qui si può non concordare su una linea argomentativa fragile che cozza con alcuni dati come la prosecuzione dell’indagine (Mafia-Appalti, ndr) da parte degli stessi pm con successivi arresti e condanne, ma siamo nel campo delle opinioni…”.
No, caro Lillo non facciamo i furbi! Non siamo nel campo delle opinioni. Ma dei fatti, come emerge anche dalla bellissima intervista di Gaia Tortora al generale in pensione Mario Mori a “Omnibus”, erede di Carlo Alberto Dalla Chiesa nel reparto dei Ros, in un passaggio fondamentale. Anzi, due e vediamo attentamente come:
“Mafia appalti e Mani Pulite stesso filone” 18 maggio 2023
Gaia Tortora: “Dobbiamo ricostruire alcuni passaggi, sicuramente alcuni li salto. Mi aiuti generale. Perché forse c’aiuta a spiegare che cosa accade in quella Procura in quegli anni. Nel marzo ’92 Borsellino torna a Palermo, e viene nominato aggiunto; il 23 maggio del ’92 muore Falcone con la moglie e gli uomini della scorta; il 19 giugno ’92 due ufficiali del ROS vanno da Borsellino, e gli dicono che c’è un piano per ucciderlo sostanzialmente; il 25 giugno Borsellino chiede di parlarle, e le chiede di riprendere una cosa fondamentale: il dossier “Mafia-Appalti”; il 13 luglio Scarpinato e Lo Forte chiedono l’archiviazione di quel dossier, del dossier “Mafia e Appalti”; il 14 luglio c’è una riunione della Dda di Palermo; Borsellino chiede di procedere, di andare avanti forse con “Mafia-Appalti”. Nessuno gli dice però che c’è una richiesta di archiviazione. Il 19 luglio, Borsellino purtroppo salta in aria. Il 14 agosto viene archiviata “Mafia-Appalti”. Manca un passaggio, perché non dicono a Borsellino che c’è una richiesta di archiviazione?”
Mario Mori: “E, questo è il passaggio chiave. Vede, di quelle vicende molti testimoni sono morti, qualche documento non c’è più. Ma io ancora, chiedo – questa è la mia prospettiva futura, il mio obiettivo futuro – di costituire una commissione parlamentare che indaghi su questa faccenda. Perché è fondamentale, vede, Borsellino – nel breve periodo tra la morte di Falcone e la sua – fece un’attività parossistica, quasi; prese contatti in particolare – ci sono le testimonianze – col dottor Di Pietro, perché si era convinto che le due vicende – quella di Mani Pulite e quella di Mafia Appalti – si integravano in un unico grande sistema, che è il condizionamento generale degli appalti e sarebbe stato, io penso, un’inchiesta che avrebbe portato una parola definitiva a molti dei misteri della politica e del quotidiano italiano; l’ha riconosciuto anche Di Pietro ultimamente, anche testimoniando in processi. Quella era forse la via giusta per colpire il sistema. Perché la mafia era solo la parte operativa di questo sistema. E poi, c’erano gli imprenditori da una parte e i politici dall’altra che in un primo tempo venivano considerati vittime della prepotenza mafiosa, ma in effetti contribuivano al sistema illecito perché lucravano come la mafia per la loro parte.” Gli imprenditori non erano concussi, al Nord come al Sud, ndr.
Gaia Tortora: “Ma se era, e lo è perché comunque Borsellino e Falcone su quello lavoravano, un dossier così importante e fondamentale per arrivare a quello che è, lei anche oggi ci ripete; perché dall’interno di quella procura volevano archiviare?”.
E’ la parte mancante nella difesa “ad personam” di Marco Lillo nei confronti di Roberto Scarpinato:
“Ecco, vede, se si va a prendere in esame gli ultimi atti di Falcone, Falcone sostiene che l’arresto dei cinque unici indagati di Mafia-Appalti fu un diversivo per non coinvolgere il mondo politico; lo dice alla Liana Milella di Repubblica, in una conversazione. Nel suo PC si trova riferimento – siamo nel dicembre del ’91 – … in cui sostiene che il dottor Giammanco archivia Mafia-Appalti il 22 di luglio del ’92, cioè chiede l’archiviazione a tre giorni dalla morte di Borsellino; siamo al luglio del ’92, tra le altre cose un pentito, (Angelo, ndr) Siino, che è considerato dalla Procura di Palermo sempre un pentito attendibile, dichiara di aver ricevuto tre giorni dopo la consegna da parte dei Carabinieri alla Procura di “Mafia-Appalti”, di aver ottenuto il nostro documento, la nostra informativa che gli arrivava da Salvo Lima che l’aveva ricevuta da Giammanco” (ricordiamo che Scarpinato chiese l’archiviazione dell’inchiesta senza informare Borsellino, e Giammanco firmò l’archiviazione: quindi l’informativa dei ROS sarebbe stata inviata da Scarpinato a Giammanco per essere destinata a Salvo Lima che l’aveva fatta arrivare all’utilizzatore finale “Ministro dei Lavori Pubblici di Cosa Nostra”, con faccia di Charles Bronson ma anche Lech Walesa, ndr…).
Antonio Di Pietro ha detto in un’intervista memorabile a Susanna Turco per “l’Espresso” del febbraio 2020 di sapere più di quello che dice: che cosa sa, che non ci ha detto?
Perché, ad oggi, non ha preso posizione né a favore né contro Roberto Scarpinato? Da notare, è come la suddetta intervista sia stata richiesta dal collegio difensivo del generale Mori agli atti del processo d’appello per la cosiddetta “Trattativa Stato/Mafia”, contribuendo al proscioglimento assolutorio dello stesso Mori nel settembre del 2021 e in Cassazione perché addirittura il fatto non esiste.
Ps – A quando la separazione delle carriere?
Ma la Magistratocrazia (chiedo scusa per l’incolto neologismo alla Benito Mussolini) sta morendo per consunzione.
di Alexander Bush