Con questo articolo, dedicato ad uno dei problemi più sentiti del nostro tempo: il rapporto tra comunità diverse (e in cui una delle migliori soluzioni è stata quella della tanto bistrattata nostra Italia) il saggista Renato Barilli, uno dei più importanti critici letterari e d’arte italiani, inizia la sua collaborazione con Libertates
Tra i pochi motivi d’orgoglio di cui il nostro Paese può menare vanto è il modo eccellente con cui abbiamo risolto i nostri rapporti con la comunità altoatesina, o sudtirolese che dir si voglia, ovvero con la Provincia di Bolzano. Un territorio appartenente senza dubbio alla nazione tedesca, per il fattore linguistico prima di tutto, ma anche per altri caratteri etnici, storici, di lunghe tradizioni. Ce lo siamo presi al termine della Prima Guerra Mondiale come risarcimento del milione di nostri caduti, e secondo la dubbia pretesa di completare l’unità d’Italia, pretesa del tutto legittima con riferimento a Trento e Trieste, ma assai meno in relazione a quel bel pezzo di terra ricca e prosperosa. E in effetti negli immediati decenni del secondo dopoguerra si ebbero da quelle parti fermenti irredentisti, con una vasta gamma di atti di terrorismo. Ma poi, giungemmo a un eccellente accordo, mi pare che ciò avvenisse col Trattato di Osimo, attraverso cui concedevamo al Sud Tirolo ogni autonomia, a cominciare da quella della lingua, anche nella toponomastica, per cui oggi le denominazioni in tedesco vengono prima di quelle in italiano, Attorno a un simile atto simbolico, ma pieno di implicazioni, sono seguite tante altre concessioni, per cui allo stato attuale la coesistenza tra le due comunità è del tutto pacifica, se non sbaglio non si registrano conati irredentisti, l’Austria non ammassa truppe al confine per avviare una riconquista delle terre perdute. Tutti avranno già capito dove vuole arrivare questo discorso. Lo si applichi alla realtà oggi cruciale dell’Ucraina, dove le province a Est sono senza dubbio russofone, e dunque, il governo centrale di Kiev che cosa aspetta ad avviare una trattativa disposta a dar loro ogni possibile autonomia, purché queste si impegnino a rispettare l’integrità territoriale del Paese, sena più bisogno che l’orso russo vigili alle frontiere pronto a balzare in aiuto dei fratelli divisi e conculcati? A questo modo cadrebbero le minacce di invasione in armi dall’una dall’altra parte, o anche solo le proclamazioni di embarghi contro una libera circolazione delle merci, un provvedimento oltretutto cui molti Paesi dell’Eurozona sono riluttanti perché ne vedrebbero gravi danni per il proprio benessere, mentre Obama, del tutto fuori da questi rapporti di scambio, ha bel gioco a chiamarsi fuori. Da questo scacchiere senza dubbio minore si potrebbe tentare di trasportarsi verso il nodo di vipere dei rapporti tra Israele e Palestina. Che cosa aspetta il governo di Tel Aviv a fare concessioni, anche e soprattutto di carattere economico, alla controparte, narcotizzando le varie istanze antiebraiche a forza di benefit, magari chiamando in vista di tale funzione gli altri Paesi occidentali a una sostanziosa partnership. L’impotente “mostrare i muscoli” della controparte dovrebbe essere messo tra parentesi, considerato come una reazione più che altro retorica e di forma, come sopire le urla e le proteste di un paziente aumentando le dosi di sonnifero da propinargli, e forse poco alla volta lo si vedrebbe calciare di meno, interrompere quegli inutili rigurgiti di rabbia vendicativa quali sono i lanci di razzi da parte di Hamas.
Renato Barilli