Un saggio sui finanziamenti russi per ottenere un’approvazione dell’attacco all’Ucraina.
(La prima parte del saggio la potete trovare su Libertates a questo link)
Un pregevole e ormai raro volume, intitolato “Oro da Mosca” (Mondadori, 1999) e curato da Valerio Riva e Francesco Bigazzi, raccoglie tutti i documenti relativi ai finanziamenti sovietici nei confronti di organizzazioni politiche e culturali italiane. Particolarmente interessante, tra gli altri, è l’appunto manoscritto datato 4 dicembre 1956 (un mese esatto dopo l’intervento armato dell’URSS contro la rivoluzione ungherese e quattro giorni prima dell’apertura dell’8° congresso del PCI), firmato di suo pugno da Boris Nikolaevič Ponomarëv, storico dirigente del PCUS incaricato dei rapporti con i “partiti fratelli”: l’originale è attualmente custodito in uno degli archivi moscoviti, il RGANI (Archivio di stato russo per la storia contemporanea), dove chi scrive, nel luglio 2014, ne ha potuto prendere visione e fare copia senza problemi.
Il documento stabiliva che nel corso di quell’anno erano stati elargiti, per il tramite dei sindacati romeni, due milioni e mezzo di dollari USA al PCI, un milione e duecentocinquantamila al PCF e altre somme minori a tutti i “partiti fratelli” dei paesi capitalistici. E’ impossibile a questo punto non trarre almeno due conseguenze immediate: primo, tale elargizione non poteva non essere anche il premio per la “linea di classe” tenuta da tutti i partiti succitati nei confronti della “sedizione magiara”, ovvero per l’appoggio alla repressione sovietica; secondo, per dirla con Beppe Grillo, quel documento e il libro che lo contiene sono degli “ologrammi”, ossia non vengono mai citati ed è come se non esistessero non solo per l’assai potente storiografia filo-togliattiana, altamente specializzata nella damnatio memoriae, ma anche per molti studiosi afflitti da timori reverenziali e/o da opportunismi politico-accademici verso di essa. In altre parole, l’8° congresso del PCI è ancora da tutti costoro celebrato, se non come “capolavoro”, certamente come una svolta epocale, un grande evento del dopoguerra repubblicano d’Italia, eccetera: e le voci dissidenti di Fabrizio Onofri, Antonio Giolitti e altri sono trattate più come incidenti di percorso che come presagi veritieri di un futuro fallimento.
A quasi sei decenni da quell’evento, e a sette dalle elezioni del 2 giugno 1946, la domanda da porsi sarebbe in realtà la seguente: come hanno fatto due partiti che allora assommavano il 40,6% dei voti ( PSI 20,7%, PCI 19,9%) a scomparire nel nulla? Quale ruolo ha svolto la sudditanza all'”imperialismo rivoluzionario”, per dirla con Hugh Seton-Watson, dell’Unione sovietica, che nel 1991 ha cessato di esistere? Ma non è questo il luogo per approfondire una vicenda così complessa.
E’ invece opportuno chiedersi chi sia il nuovo Ponomarëv, ossia la persona che certamente elargisce denaro alle forze politiche e culturali che appoggiano la nuova ondata dell’imperialismo russo, inaugurata ufficialmente nel 2008 con l’occupazione dell’Abchazia e della Sud Ossetia da parte delle truppe di Mosca. Dall’UKIP di Farrage alla Lega di Salvini, passando per il FN di Marine Le Pen e l’ungherese Jobbik, i partiti del populismo europeo hanno più o meno tutti riconosciuto, o meglio non negato, i loro legami di vario tipo con il Cremlino: meno chiara è la situazione per quanto riguarda intellettuali, giornalisti, diplomatici e altri. Da quando Putin ha preso a pretesto la cosiddetta Euromajdan – ovvero, le manifestazioni di piazza organizzate dalla società civile ucraina a partire dal novembre 2013 in appoggio alla firma di un accordo di associazione all’UE – per scatenare un’aggressione armata in piena regola contro Kyïv, i flussi finanziari sono sicuramente aumentati e hanno portato a risultati straordinariamente visibili, almeno in Italia.
Per carità di patria, è meglio calare un velo pietoso sugli anziani e patetici chansonniers recatisi in entusiasta pellegrinaggio in Crimea non appena avvenuta l’annessione del tutto illegale alla Federazione russa: da Riccardo Fogli dei Pooh ad Al Bano fino allo stesso Berlusconi, stavolta privo del fido Apicella ma in grado tuttavia di compiere una performance memorabile quanto irritante. L’ex premier, infatti – fortunatamente non più parlamentare ma pur sempre capo riconosciuto del secondo o terzo partito italiano – per cercare di dare una parvenza di dignità alla sua visita, rendeva mesto omaggio ad un monumento eretto in memoria dei Bersaglieri sabaudi, caduti nel 1855, ma combattendo contro la Russia! Dettaglio di cui forse né lui né il suo ospite Putin erano del tutto al corrente. Passando alla parte più informale, durante una visita alle famose cantine Massandra, in onore dell’ospite è stata stappata una bottiglia vecchia di 240 anni, del valore di decine di migliaia di dollari, cosa che ha fatto giustamente infuriare gli ucraini e gettato nello sconcerto la stampa internazionale.
Sia concesso un inciso del tutto soggettivo: ma i senatori di FI Lucio Malan e Paolo Romani, che il sottoscritto conosce personalmente come persone serie e colte anche in tema di questioni internazionali, cosa fanno quando sentono notizie come questa? Non è azzardato ipotizzare che si chiudano in una stanza per sbattere violentemente la testa contro il muro dalla disperazione e poi cercare di risistemarsi alla bell’e meglio. D’altronde, che alternativa avrebbero? Certo, potrebbero fare come l’on. Cicchitto che proprio per questi motivi, ossia il sodalizio con Putin, ha rotto i rapporti politici con Berlusconi, ma tant’è.
Ad ogni modo, gli chansonniers appartengono alla categoria dei credenti/militanti, dunque non rientrano, se non marginalmente, nel novero dei problemi qui trattati: Al Bano e Fogli sono delle grandi star in Russia, Berlusconi è inquietantemente legato a Putin da un rapporto strettissimo e nessuno dei tre soffre di ristrettezze economiche. Naturalmente il loro comportamento resta ingiustificabile, se non altro dal punto di vista del rispetto per le perdite umane e per il principio di autodeterminazione e sovranità nazionale. A questo proposito, Al Bano addirittura teorizzava una somiglianza tra Crimea e Istria: non sapeva che l’Istria non è più italiana o proponeva di riannetterla?
E’ legittimo ipotizzare che i finanziamenti del Cremlino siano diretti invece a chi, oltre a rendersi disponibile, sia giudicato in grado di influenzare l’opinione pubblica. E i beneficiari possono essere grossomodo suddivisi in tre categorie: i bloggers, gli “urlatori” e i “pensosi”. Si tratta di definizioni del tutto soggettive e naturalmente discutibili, ma non prive di una certa logica.
Nella prima troviamo delle vere e proprie orde, che – come in quasi tutti i blog, del resto – si nascondono dietro uno pseudonimo e profferiscono enormità a non finire, ma in modo talmente martellante e organizzato da soffocare ogni tentativo di ragionare. Esempio: un quotidiano sobrio e pacato, “Il Sole 24 ore”, pubblica nella sua versione online un breve articolo del tutto neutro sulla terribile vicenda del volo MH17 schiantatosi nel Donbass perché colpito da un missile? Se si va ai commenti all’articolo, si trovano tali spropositi emessi con tale violenza da rimanere stupefatti, a meno di non rendersi conto che è tutto preordinato e organizzato.
Gli “urlatori” sono invece coloro che escono allo scoperto, con nome e cognome, pubblicando per lo più instant books contenenti cose per la maggior parte appena appena meno insensate delle precedenti: ma comunque offensive verso la verità storica e la realtà dei fatti ed echeggianti in tutto e per tutto le versioni ufficiali russe, a cominciare dalle leggende sul “nazismo” degli ucraini, i quali non sono certo stati, né sono, quantitativamente o qualitativamente più nazisti di tutti gli altri popoli europei, da Svezia e Norvegia a Italia e Grecia, o dall’Irlanda alla Romania. Il dissennato mantra di questi libelli parla ossessivamente di un “golpe” portato a termine dai “nazisti” a Kiev con la regia di Bruxelles e Washington, senza preoccuparsi minimamente di replicare alle numerose obiezioni avanzate nei confronti di questa ed altre assurdità; e i loro autori si rifanno indifferentemente all’estrema sinistra e all’estrema destra, in questo ultimo caso solitamente sostituendo i “nazisti” con “l’ebraismo internazionale” (sic), con tanti saluti a qualunque residuo di raziocinio.
Il terzo gruppo di fans della Russia è composto dai “pensosi”, che sono per lo più bravi a nascondere i loro intenti assai basici dietro a ragionamenti colti, citazioni appropriate e così via, con un’accesa preferenza per Henry Kissinger, considerato a ragione come il principale esponente del “realismo” nelle relazioni internazionali, al punto da essere reputato, in un famoso pamphlet del defunto Christopher Hitchens, un autentico criminale di guerra.
Come si traducono queste esibizioni in politica? Al momento della sua nomina a capo del governo, quasi esattamente in coincidenza con la sparatoria di Maidan del febbraio 2014, Matteo Renzi sembrava felicemente immune dai vecchi riflessi condizionati della politica italiana. Risulta che Putin, sicuramente su consiglio di Berlusconi, gli telefonò in aprile, appena annessa la Crimea, sperando di ascoltare una voce amica ma ottenendo una gelida accoglienza. Risulta pure che la Mogherini, ancora ministra degli Esteri, incontrando nel mese di luglio il suo omologo Lavrov a Mosca ribadì puntigliosamente il dissenso dei paesi occidentali nei confronti dell’azione russa.
Non è chiaro se la politica ufficiale italiana sia rimasta quella di un esordio così promettente, o se sia cambiata. E’ evidente che la politica internazionale sia ormai quasi esclusivamente concentrata sul Medio Oriente e che il conflitto in Ucraina sia diventato una questione secondaria. Restano però alcune inquietanti somiglianze con l’Ungheria di sessanta anni fa, quando Togliatti in persona, forte dell’incoraggiamento non solo politico di Ponomarëv di cui sopra, poteva battezzare un nuovo gruppo dirigente e offrire seggi parlamentari ai prestigiosi intellettuali Carocci e Luporini, o la presidenza dell’Istituto Gramsci a Ranuccio Bianchi Bandinelli (l’archeologo che un anno dopo la morte di Gramsci aveva accompagnato Hitler nei musei vestito in divisa fascista), come ricompensa dell’appoggio dato alla sua linea in tema di Ungheria.
Chissà che anche l’Ucraina, tra qualche decennio, non dia luogo anch’essa a pentimenti tardivi e del tutto inutili dal punto di vista del progresso democratico italiano?
Federigo Argentieri
Una scelta di libri e articoli variamente impostati, ma intellettualmente onesti, che aiutano a capire meglio l’Ucraina e quanto scritto qui sopra:
http://www.socialnews.it/articoli/i-falsi-miti-della-storia-ucraina/
http://lanostrastoria.corriere.it/?r=1&s=argentieri+ucraina
S. A. Bellezza, Ucraina- Insorgere per la democrazia, Brescia, La Scuola 2014
S. A. Bellezza (ed.), Atlante geopolitico dello spazio post-sovietico, id., 2016
S. Cantone-O. Moscatelli, Ucraina – Anatomia di un terremoto, Firenze, Goware 2014
E. Cinnella, Ucraina 1932-33, il genocidio dimenticato, Pisa, Della Porta 2015
M. Di Pasquale, http://www.guerraucraina.it/
A. Kurkov, Diari ucraini, Rovereto, Keller 2014
G. Perri, La ricca fontana, Sesto Fiorentino, Apice Libri, 2015