Una storia dei rapporti tra Ucraina e Italia visti da un punto di vista italiano *
Dieci anni fa, parlando in un contesto informale ma serio all’università di Harvard, il più volte deputato e ministro degli esteri ucraino Borys Tarasyuk espresse più o meno questo concetto: “Prima di essere cacciato dall’incarico l’anno scorso, su esplicita richiesta del neoeletto Putin, sentivo regolarmente ogni settimana i miei colleghi tedesco, francese, inglese e statunitense. Il ministro italiano Lamberto Dini invece era come lo “stregatto” (Cheshire cat) di Alice nel paese delle meraviglie, scompariva sorridendo ogni volta che lo cercavo o lo incontravo per caso, era impossibile rivolgergli la parola”.
A vent’anni dall’indipendenza ucraina, proclamata il 24 agosto 1991 e che fu uno dei fattori più importanti del disfacimento dell’URSS, e all’indomani della conclusione dello scandaloso processo a Yuliya Tymoshenko, è legittimo porsi la domanda: perché e con quale diritto l’Italia politica ha trattato questo importante stato europeo come un’espressione geografica, e continua imperterrita a farlo? La questione è tanto più pertinente in quanto i rapporti storici, culturali, economici, religiosi ed umani sono invece assai stretti, e comincia ad esserci una bibliografia pregevole di studi italiani sull’Ucraina, che riprende una tradizione antica.
La risposta è: la politica italiana, nella sua quasi totalità, è vittima di una sudditanza a Mosca, le cui origini risalgono ai primordi del potere sovietico, all’amicizia e stima che regnavano tra Lenin e Mussolini, entrambi ex sovversivi socialisti, anche dopo la marcia su Roma, e che continuarono per almeno un decennio dopo la morte del capo bolscevico nel 1924. Intervistato da un giornalista britannico nel novembre 1922, infatti, Lenin – che poche settimane dopo sarebbe stato colpito da ictus – ebbe parole di simpatia e solidarieta’ per il suo vecchio amico che da poco si era impadronito del potere. E quanti sono a conoscenza dell’articolo scritto da Gramsci dopo il delitto Matteotti, in cui inveiva contro l’ambasciatore sovietico in Italia Yurenev che continuava a mantenere rapporti cordialissimi con Mussolini? Naturalmente questo stretto legame d’amicizia, che era esistito anche nel cinquantennio precedente la prima guerra mondiale, ebbe delle interruzioni, la principale delle quali nello sciagurato biennio 1941-43: ma ci fu sempre chi parteggiava per Mosca, anche nel periodo più duro della guerra fredda, quando la politica dei governi centristi era risolutamente ostile all’URSS. I rapporti non sono mai stati normali nel senso di una regolare relazione diplomatica, politica, culturale e commerciale perché in Italia e’ sempre esistito, con posizioni influenti, chi e’ andato molto oltre facendosi carico, in parte o in tutto, delle sempre vive ambizioni imperiali russe, giustificandole e approvandole.
E’ noto che in Russia ancor oggi l’idea stessa di un’Ucraina indipendente è totalmente indigesta al potere in tutte le sue versioni: ebbene, Roma si fa carico più di ogni altra capitale di questa angustia e si adopera con zelo per non alimentarla, ignorando caparbiamente Kiev (anzi: Kyïv, nella versione più corretta). Con Berlusconi al governo, lo zelo aumenta al punto che anche Varsavia viene presa con le molle da Roma, sapendo quanto e’ facile urtare la suscettibilità russa attraverso i polacchi.
Ecco qualche esempio relativo agli ultimi 15 anni, visto che nel quinquennio 1991-96 in entrambi i paesi si registravano per così dire delle scosse di assestamento: in Ucraina le prime misure di consolidamento di un’indipendenza inattesa e del tutto insperata, in Italia le convulsioni di Tangentopoli. Nel 1996, l’Ucraina approvò una nuova costituzione che, pur non essendo federalista, dava le più ampie garanzie alla vasta minoranza russa (22% degli abitanti) e a tutte le altre e rinunciò unilateralmente al rango di potenza nucleare ereditato dall’URSS; in collaborazione con la NATO, nel 1997 stipulò accordi bilaterali con la Russia che garantivano eque soluzioni al problema delle basi militari e della flotta del mar Nero. Si trattava di grandi passi avanti per la sicurezza europea, condotti con mano ferma dall’amministrazione Clinton e assecondati da Eltsin (unico leader russo odiato da quasi tutti i politici italiani, sempre genuflessi davanti a Gorbaciov). I rapporti bilaterali italo-ucraini progredirono molto meno di quanto non avrebbero potuto, come rilevato dal citato Tarasyuk: se Dini, che conservò il ministero degli Esteri per tutto il periodo del governo di centro-sinistra, sorrideva e scompariva, Romano Prodi – sia come capo del governo che come presidente della Commissione europea – ebbe sempre a trattare l’Ucraina con sufficienza, se non con fastidio.
A partire dal biennio 2000-01, apparvero sulla scena tre nuovi fattori: l’elezione di Putin, quella di Berlusconi e l’11 settembre, in conseguenza del quale la Russia si avvicinò nettamente all’Occidente. In tale contesto, nacque la stretta amicizia personale tra Berlusconi e Putin, molti risvolti della quale restano ancora assai poco chiari, per non dire inquietanti, a cominciare dalla recente festa di compleanno del passato e futuro presidente russo dove l’ospite d’onore era il nostro presidente del Consiglio. Dopo aver fatto cacciare Tarasyuk dal ministero degli Esteri e messo a tacere con varie modalità altre voci ucraine discordanti, Putin, rieletto nel 2004, stava già per menare vanto di aver “riportato all’ovile” l’Ucraina quando spuntò Viktor Yushchenko che si candidò alla presidenza con un programma non certo anti-russo, ma realmente indipendentista. Fallì l’avvelenamento alla diossina che intendeva scoraggiarlo e fallirono anche i brogli elettorali, grazie alla rivoluzione arancione del 2004-05 che molti oggi dichiarano “fallita” e che invece ha piantato semi fecondi. Per chi lo avesse dimenticato, le cose si svolsero in questo modo: nonostante fosse rimasto sfigurato dal veleno (propinatogli non si sa esattamente da chi, ma non e’ impossibile immaginarlo), Yushchenko decise di presentarsi comunque alle elezioni. Giunto al ballottaggio con Yanukovich, si vide defraudare della vittoria a causa di brogli evidenti, segnalati in tutto il paese. Cioè provocò una grande manifestazione di massa che durò ininterrottamente per settimane, finché – anche per le forti pressioni internazionali – la corte suprema ucraina, ancora imbevuta di mentalità sovietica, non si vide costretta ad annullare il risultato e a decretare un nuovo ballottaggio, che stavolta si svolse in modo regolare anche per la presenza di molti osservatori internazionali e che fu vinto da Yushchenko. Il silenzio glaciale con cui l’Italia politica accolse quell’evento storico, l’assoluta negligenza sconfinante nel disprezzo con cui Yushchenko fu ignorato per tutto il quinquennio del suo potere (anche da Prodi e D’Alema, al governo nel 2006-08) hanno dell’inspiegabile, né serve a comprenderli il discorso delle forniture di gas russo e quant’altro. Per intenderci, basti dire che non si sono mai registrate battute cretine di Berlusconi su Yuliya Tymoshenko, l’altra figura di rilevo della rivoluzione arancione e più volte primo ministro; che la stessa non e’ mai stata invitata in Italia, ne’ Berlusconi ha mai messo piede a Kiev, mentre Prodi ci si e’ recato solo in quanto presidente della commissione europea.
Naturalmente bisogna anche sottolineare che i due trionfatori della Orange Revolution hanno dilapidato, nel corso del quinquennio, quasi tutto il loro capitale politico. La rivalità implacabile affiorata tra di loro, le molte decisioni errate in quasi tutti i campi hanno portato alla loro meritata sconfitta nel 2010, quando Yanukovich – umiliato nel 2004/05, ma evidentemente capace di imparare la lezione – si e’ preso una sonante rivincita, questa volta senza nessun broglio.
Tra le decisioni importanti subito prese da Yushchenko, però, quelle che aprono varchi che poi e’ molto difficile richiudere, vanno ricordate l’abolizione unilaterale dei visti d’entrata per i cittadini di quasi tutti i paesi industriali avanzati, che naturalmente si sono ben guardati da restituire il favore, e lo sforzo di riportare alla luce il tremendo passato dell’Ucraina, che nel corso della prima mete del secolo scorso ha sperimentato senza eccezioni tutte le atrocità possibili, per giunta su larga scala. Se si sommano le vittime delle carestie per cause naturali del primo periodo sovietico, quella di regime del 1932-33 (altrimenti nota come Holodomor), le vittime delle purghe staliniane e quelle della Shoah, poi quelle della nuova carestia e delle nuove purghe del secondo dopoguerra, per non parlare dei caduti civili e militari del conflitto, si raggiunge una cifra vicina a 12 milioni, superiore ad un quarto della popolazione. Cosciente che la democrazia e la libertà non possono che basarsi sulla verità storica, Yushchenko si e’ battuto con energia per favorire lo studio e la conoscenza di tutti questi eventi, occultati o distorti dal potere sovietico, e per tramandarne il significato alle nuove generazioni. Ha pienamente compreso il rischio tremendo di contrapporre un genocidio ad un altro e ha cercato di mantenere aperto il dialogo su questi aspetti con la Germania, Israele e la Russia, ottenendo risultati non indifferenti: oggi infatti Mosca ammette il genocidio dei contadini, anche se si rifiuta ancora di riconoscere che vi fu una specificità ucraina, ossia che nell’ambito di un’offensiva spietata per il controllo delle campagne l’Ucraina fu la parte dell’URSS maggiormente colpita anche negli altri due pilastri dell’identità’ nazionale, ossia gli intellettuali e la Chiesa.
A proposito del passato tragico di questo paese, va segnalata un fatto particolare. Proprio in concomitanza con la rivoluzione arancione, l’estroso scrittore “fasciocomunista” e pluripremiato Antonio Pennacchi vergava un pamphlet a dir poco vergognoso, intitolato L’autobus di Stalin, che non solo e’ stato pubblicato ma perfino adattato per una piece teatrale, in cui si cantano le lodi del dittatore sovietico in modo grottesco ma anche molto offensivo per le vittime. Però questo pamphlet ha certamente un merito, quello di rivelare quanto lunga sia ancora la strada da percorrere per portare la cultura italiana dall’eredita’ del fascio-comunismo, appunto, alla democrazia liberale.
In conclusione, parlando dell’oggi, si può dire che in un anno e mezzo di potere Yanukovich si e’ dimostrato più indipendente da Mosca di quanto chiunque potesse sospettare, il che naturalmente non lo esime dal compiere errori madornali. Il processo e la condanna della Tymoshenko sono ovviamente motivati dal desiderio di eliminare un personaggio carismatico e molto valido dalle prossime competizioni elettorali. Il successo o meno di questo tentativo dipenderà anche da quanto l’opinione pubblica internazionale saprà e vorrà fare per difendere l’esile democrazia ucraina. Attanagliate dalla terribile crisi economica, Europa e Stati Uniti non hanno molte riserve d’energia da spendere per battaglie di questo tipo, ma farebbero bene a spenderle – e le spendono, almeno per quanto riguarda la Clinton, la Ashton e qualche loro collega. Anche Angela Merkel, forse spinta da solidarietà femminile più che da simpatie politiche per l’Ucraina (la Germania e’ notoriamente anch’essa filo-russa, ma non nei modi ridicoli che solo Berlusconi sa esibire) ha detto la sua condannando il processo e mettendo in guardia Yanukovich.
E l’Italia? La risposta e’ arrivata indirettamente l’anno scorso, quando Berlusconi e Frattini hanno incontrato Lukashenko, dittatore bielorusso non amato ma neanche sgradito a Mosca. L’Ucraina rimane un tabù che ha dell’inspiegabile, ma gioverebbe a tutti non solo spiegarlo a fondo, ma porvi fine. Dopotutto si tratta del secondo paese europeo per dimensioni e di un partner potenzialmente importante, oltre che di una grande sfida per la democrazia in Europa e nel mondo.
Federigo Argentieri
* Nota: quello che segue è un articolo inedito, originariamente scritto per le elezioni presidenziali ucraine del 2010 e respinto dalla rivista che lo aveva richiesto: è stato completato dopo l’arresto di Yuliya Tymoshenko e si ferma a fine estate 2011. Nella seconda parte verranno coperti gli eventi da allora ad oggi, sempre in prospettiva italiana.