L’utopia dei posti a sedere

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Viaggiare sui treni dei pendolari: non solo un’avventura: uno spaccato di un Paese che si sente inerme di fronte ad un apparato statale inefficiente

Sono una studentessa universitaria, frequento la Bocconi ma vengo da Modena e tutte le settimane, purtroppo, devo vivere o assistere al servizio, o meglio, al disservizio, che il nostro sistema di trasporto su rotaie nazionale ci offre. Non rappresento lo stereotipo dello studente bocconiano medio, non del tipo “pago, PRETENDO”, e non credo di godere di una condizione diversa dalla media dei viaggatori che incontro ogni giorno. Non parlo per sentito dire, ma per esperienza diretta. Ho appena studiato il sistema delle pubbliche amministrazioni, ma mi sono resa conto che la discrasia tra mondo accademico e idilliaco descritto sui libri e quello reale è enorme; ho sentito parole di fiducia, come la possibilità di una sorta di redenzione dal difficile sistema pubblico in cui siamo ingabbiati. Non è così, ogni volta è peggio. Ieri per l’ennesima volta sono stata coinvolta dall’incompetenza e dalla mala-°©‐organizzazione. Dopo più di un’ora di attesa, nella speranza che il nostro treno fosse riparato a seguito di un guasto, ci hanno annunciato la cancellazione; può succedere, gli inconvenienti tecnici non sono una colpa di nessuno. La COLPA più grave sta nel personale che, come al solito, lascia i passeggeri in balia di loro stessi: “Andate a guardare e arrangiatevi”, “Non è un problema mio”; sono queste le risposte che gli operatori, a vari livelli, sanno dare. Proprio gli operatori sono il ponte tra il sistema pubblico e gli utenti, e, immedesimatissimi nel loro ruolo, danno le stesse risposte di molti dei grandi dirigenti delle A.A.P.P.. E questo non è giusto. I cittadini sentono pesante il sistema contributivo, proprio perché preleva tasse e tributi in quantità, ma offre servizi minimi e scarsi, quasi che facesse un piacere a chi paga, dimenticandosi che si tratta di un DOVERE così come il cittadino avrebbe un DIRITTO a goderne. Da qui, nasce un senso di insoddisfazione e inefficacia che porta le persone a perdere la ragione, e non si tratta solo di educazione o maleducazione. Anche ieri, urla e sbraiti, liti per un posto a sedere, su treni sporchi, stretti e maleodoranti, perfino con le pulci, stipati come topi, con valigie troppo grandi per le piccole cappelliere disponibili, con bambini urlanti perché obbligati a stare in ambienti chiusi e del tutto poco piacevoli. Per una colpa non loro, e neppure dei genitori o degli altri passeggeri. Quello che più mi colpisce, è che, a questo punto della storia, l’unica cosa che le persone sono in grado di pensare è a come boicottare il sistema con la forza, usare la violenza per cercare di sopprimere quello che li abbatte. Il dialogo ha perso valore, perché tanto percepito come inascoltato e unilaterale. I giovani vivono in un paese inerme, capace solo di arrampicarsi sugli specchi della burocrazia e di giocare alla delega delle responsabilità. Viviamo in un paese che non sa ascoltare i bisogni, che si gonfia della propria autorità e che, dall’alto del trono di cristallo che si è costruito, usa arroganza e coercizione per tutelare sé stesso. È il momento di finirla di giocare alla “patata bollente” con i bisogni, le richieste e la capacità di sopportazione umana. Le alte cariche sono così brave a scegliere e tenersi strette poltrone in pelle o in velluto, comode comode. Ma non sono altrettanto capaci di rendere disponibili nemmeno sufficienti seggiolini del treno a chi è lo STATO.

Maria Vittoria Annovi

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