Quante domande sulla gestione della cultura italiana si potrebbero fare? Eccone un esempio
Perché non si bandiscono concorsi presso le varie università italiane per sostituire il personale docente che si avvia alla pensione? Perché non si vigila sul nepotismo degli atenei italiani dove i posti sono già assegnati a priori e riservati ai propri protetti? A che serve organizzare un’abilitazione universitaria senza fissare una graduatoria cronologica di merito tale da garantire un assorbimento progressivo? Come è possibile che chi lavora con impegno, cercando di tenere alto il prestigio italiano e di competere con studiosi di altri paesi sostenuti da lauti stipendi, sia completamente abbandonato a se stesso, a dispetto di una legge che dovrebbe favorire il rientro di chi è all’estero da anni? Per quale ragione, ogni volta che si è in difficoltà, per risollevare le proprie sorti morali ed economiche bisogna rivolgersi ad altri paesi europei?
Eppure la crisi ucraina dovrebbe aver dimostrato che, a prescindere dai pragmatismi di bilancio statali e di ateneo, spesso affiancati da una gretta mentalità provinciale, si ha bisogno di persone che trasmettano la cultura, la lingua e la mentalità di altri popoli, formando le future generazioni di diplomatici, letterati, linguisti e giornalisti. Altrimenti i nostri politici dovranno continuare a fare affidamento sull’esperienza e conoscenza linguistico-culturale dei loro colleghi tedeschi, polacchi ecc. per affrontare crisi di rilevanza internazionale o sedere semplicemente ai tavoli delle trattative. Eppure chi scrive si accontenterebbe, per iniziare, anche di una semplice docenza a contratto che sovente viene offerta a persone con qualifiche inadatte…delle quali preferisco tacere in questa sede.
Ecco un esempio: la mia storia personale
Correva l’anno1999. Avevo da poco compiuto trenta anni quando pubblicai su un giornale locale“La Voce della Provincia” un articolo intitolato: “Quando l’insegnamento diventa un hobby” in cui lamentavo l’impossibilità da parte di noi precari di poter accedere all’insegnamento nella scuola pubblica italiana nonostante l’impegno profuso. Nel caso specifico: una laurea conseguita quasi con il massimo dei voti, un master europeo in linguistica, svolto tra la Freie Universität di Berlino e la Federico II di Napoli, ottenuto con l’encomio della commissione (l’unico fino a quel momento) e la promessa, poi disattesa, di pubblicare la tesi in tipologia linguistica. Questo senza considerare: una serie di titoletti minori, un’esperienza di insegnamento all’Istituto di Cultura Italiano di Stoccarda nel 1995, dopo essere già stato assistente di lingua italiana in Gran Bretagna nel 1992 – selezionato per merito dal Ministero della Pubblica Istruzione. A nulla valsero le miei conoscenze ottimali delle lingue inglese e tedesca e le relative attestazioni. A nulla valse il mio primo lettorato universitario all’Università Linguistica di Kiev (Ucraina, 1998-99), ove divenni il caso “Del Gaudio”, visto che i collaboratori dell’Ambasciata di Italia a Kiev, a differenza di oggi, ancor si meravigliavano di come si potesse sopravvivere con meno di 100 dollari al mese e aiutare alcuni dei colleghi ucraini meno fortunati di me!
Nel 1999 vinsi anche una selezione (accordo OIM: Organizzazione Internazionale Migrazione e MAE/Ministero Affari Esteri) per l’invio di lettori nelle università dell’ex Unione Sovietica. Mi fu comunicata come destinazione l’università MGIMO di Mosca e il presunto stipendio di circa un milione al mese. Inutile precisare che tanto fu grande la mia gratificazione, quanto effimera la sua durata. Stranamente, difatti, quell’anno furono inviati alle varie destinazioni i selezionati che mi seguivano in graduatoria, fuorché il sottoscritto. Purtroppo non ebbi la possibilità economica per intentare un ricorso a seguito dell’ingiustizia morale e materiale perpetrata ai miei danni!
Da allora sono trascorsi altri sedici anni, ho maturato una lunghe serie di esperienze lavorative, alcune poco edificanti e faticose, altre attinenti al mio campo professionale. Enumero:due abilitazioni a cattedra (2000) per le lingue inglese e tedesco, una riservata in russo (2002) non riconosciuta per motivi burocratici;una breve collaborazione al dipartimento di glottologia dell’Università di Napoli l’Orientale; alcune supplenze effettuate in istituti superiori (2002-2004); una seconda laurea (2004) in Slavistica (110/110 e lode)e un dottorato in slavistica con specializzazione in ucrainistica. Quest’ultimo ottenuto presso l’università di Vienna nel 2008: uno dei maggiori centri di ricerca d’Europa per lo studio delle lingue slave.
Grazie all’ausilio delle “potenze straniere”, così come accadeva ai tempi di Cristoforo Colombo,ho ricevuto una serie di borse di studio dottorali e post-dottorato e ho avuto la possibilità di partecipare ad alcuni progetti di ricerca di alto profilo internazionale ai quali, in Italia, un non raccomandato come me, né un “portato”da un professore – (tanto per adattarmi al gergo universitario italiano) –, non avrebbe mai neppure sognato.
Dal 2010 a oggi occupo l’incarico di “docent” (equivalente di un professore associato italiano) all’università nazionale di Kiev (Ucraina): quella che un tempo fu la terza università più grande e importante dell’Unione Sovietica.
La passione per il lavoro che svolgo: lo studio della lingua, linguistica e dialettologia ucraina, i rapporti tra quest’ultima e le lingue affini: russo e bielorusso, nonché tra l’ucraino e l’italiano, mi hanno indotto a soffermarmi in questo paese, malgrado le difficoltà economiche legati agli stipendi esigui di circa 150 euro al mese.
Nel febbraio 2014 ho finalmente conseguito, alla prima tornata e con consenso unanime della commissione, la tanto agognata “abilitazione scientifica nazionale” a professore associato di slavistica. Oltre ai titoli, dovrei menzionare una lunga serie di pubblicazioni, molte delle quali apparse in riviste di rango internazionale, che ometterò per brevità.
Da allora è trascorso esattamente un anno, la situazione sociale e politica dell’Ucraina si è aggravata. L’effimero stipendio, causa l’inflazione e l’instabilità del paese, si è dimezzato. Finanche i miei ripetuti tentativi di essere accreditato come traduttore, avendone i requisiti, presso il Consolato Italiano di Kiev al fine di sostenere in modo più dignitoso la mia famiglia, sono sempre stati elusi, così come da prassi italiana! Questa abominevole prassi dell’elusione e del demandare al domani o al mai è uno dei mali peggiori che affliggono e frenano lo sviluppo della nostra società.
A quarantacinque anni sonati vivo una condizione di precarietà perenne e, purtroppo, la mia famiglia continua a pagarne le conseguenze. Un insignificante esempio: la mia bambina a soli quattro anni è costretta a vedere il padre con intervalli di mesi, vista la mia fiducia nella scuola italiana e la mia scelta di italianizzarla e invogliarla a frequentare un asilo italiano…Come alternativa ci sarebbe quella di ‘altalenare’la bambina da un paese all’altro.
A questo punto mi chiedo, anzi Vi chiedo: ma dove è la giustizia sociale?
Salvatore Del Gaudio