IBL – 6-12-05
Come si fa a scongiurare i rischi della disoccupazione? In Italia, si risponde: attraverso un sussidio. La risposta è stata ribadita, di recente, da diversi esponenti politici, nel dibattito (invero un poco pretestuoso) sul “modello danese”.
Se ce ne fosse bisogno, si è avuta così ulteriore conferma che l’Italia è talmente impregnata di cultura statalista (non ne sono immuni né economisti né imprenditori, del resto) da non prendere nemmeno in considerazione il fatto che molte cose possono essere fatte dai singoli cittadini, senza l’intervento dello Stato. Cioè con minori costi per la collettività, ed interventi solo di vera “emergenza” da parte dell’autorità pubblica.
Per esempio, la tutela dalla disoccupazione potrebbe essere lasciata alle assicurazioni. Il perché è presto detto: se le aziende possono assicurarsi contro eventi che fanno cessare il loro reddito, a maggior ragione possono essere assicurati i singoli “lavoratori”, dall’operaio al consigliere delegato.
Ma andiamo con ordine. Nonostante il programma con cui aveva ricevuto mandato di governare dagli elettori, questo governo non è riuscito a creare un meccanismo per dare flessibilità al mercato del lavoro.
Cosa vogliono le aziende? Chiedono di poter cessare un rapporto di lavoro esattamente come avviene con qualsiasi altro tipo di contratto. Il mercato, la capacità di competere, le prestazioni e le esperienze necessarie cambiano rapidamente e nessuno può assumersi l’onere di alcun tipo di contratto eterno ed indissolubile.
Cosa vogliono i sindacati? Chiedono che alcuni prestatori d’opera possano avere la continuazione di una remunerazione in caso di cessazione del proprio rapporto di lavoro, fino a quando non trovano un’altra impresa con la quale lavorare. Dico che lo chiedono solo per alcuni, perché molti altri non ne sentono la necessità. Vuoi a ragione del fatto che chi ha un reddito più elevato – come amministratori, professionisti, manager – dovrebbe essere stato in grado di accumulare autonomamente un po’ di risparmio. Vuoi perché gli stessi sindacalisti sanno che c’è un mercato che è sempre alla ricerca di qualcuno che possa soddisfare le sue esigenze, come avviene anche per i prestatori di lavoro manuale, artigiani o tecnici specializzati.
Per troppo tempo si è ritenuto che la soluzione stesse nel costringere le aziende a tenere in vita contratti – rapporti di lavoro inutili, irrigidendo così la loro possibilità di competere e vincere sui mercati e, quindi, produrre ricchezza e nuova occupazione.
In un’economia di mercato, perché chi ha timore di veder cessare il proprio contratto di lavoro non si assicura, modulando tale servizio alle proprie esigenze? Ne avrebbero un vantaggio tutti. Le aziende , che potrebbero chiudere in tempi brevi i rapporti di lavoro non più utili. I prestatori d’opera che si sentirebbero più sicuri.
Le imprese non gravate da una regolazione del lavoro ossessiva e troppo costosa sarebbero più competitive. I consumatori avrebbero prezzi più bassi. Lo Stato sopporterebbe costi inferiori. La giustizia, con la g minuscola, non dovrebbe più pagare il dazio di tutte quelle cause per la sospensione di rapporti di lavoro, che ne rallentano i meccanismi. E pure la Giustizia, con la G maiuscola, tirerebbe un sospiro di sollievo. Perché assicurazioni in concorrenza, operando come imprese in un mercato, sarebbero certo più selettive nell’erogare i propri servizi e sarebbero bene attente a verificare le condizioni reali della disoccupazione.
Infatti, un’assicurazione potrebbe incentivare comportamenti virtuosi di aziende e prestatori d’opera, creando, come d’altra parte fa per ogni tipo di rischio, un “rating” per azienda-settore-tipo di lavoro e modulando i tassi, con bonus-malus, in relazione alla singola azienda o persona. E per quanti fossero assicurati con questo sistema, diventerebbe superfluo l’ormai famigerato articolo 18 sulla cessazione dei rapporti di lavoro.
In Francia, che pure è la patria del welfare e non del “liberismo selvaggio”, è da decenni che vi sono questo tipo di assicurazioni, integrative a quanto previsto per legge. Ed è ormai raro che la cessazione di un rapporto di lavoro non si chiuda in pochi giorni, senza strascichi sindacali o giudiziari. Perché solo noi italiani dobbiamo restare aggrappati ad un modello superato e perdente?
Adriano Teso