Non passa giorno che arrivino notizie più che sconfortanti su Magistratura e magistrati: dalle intese fra le correnti per far eleggere i propri accoliti e non i migliori alle alte cariche dei tribunali, a incontri tra avvocati, magistrati e politici per decidere su processi e sentenze, intrecci perversi tra politici e magistrati per favorire le reciproche carriere. Insomma tutto un ginepraio (per usare un eufemismo) in cui sembra definitamente impantanata la giustizia italiana.
È una situazione che va ben oltre la cronica lentezza della giustizia italiana, è una situazione che mina la fiducia stessa dei cittadini nell’istituzione: la fiducia in una giustizia imparziale è elemento fondamentale di uno stato democratico: non per niente nelle aule dei tribunali campeggia la scritta “la giustizia è uguale per tutti”!
E quanto sia importante per uno stato moderno ce lo ricorda il famoso episodio del contadino prussiano che alla fine del ’700 si vide sottrarre abusivamente il proprio campicello dal re di Prussia e che disse “ma c’è un giudice a Berlino!”: quale fiducia nell’autonomia della magistratura!
Ciononostante si dibatte ormai da decenni su una riforma della magistratura in cui sembra che il vero problema sia la prescrizione, se troppo lunga foriera di giudizi infiniti (alla faccia della certezza dei tempi), se troppo corta di aiuto per chi ha più mezzi (e può permettersi avvocati bravi nell’allungare i tempi).
Ma la prescrizione è solo un problema secondario e derivante tra l’altro dalle lungaggini dei giudizi: un problema che non si porrebbe se la magistratura funzionasse in tempi certi e rapidi.
Le vere riforme sono invece altre e ben più incisive e importanti:
- separazione delle carriere tra magistratura giudicante (i giudici) e inquirente (i PM) dato che le parti in giudizio sono tre: l’accusa (il pubblico ministero che rappresenta lo Stato), la difesa (che rappresenta l’accusato) e il giudice che valuta imparzialmente le cause)
- riforma dell’elezione del CSM in modo da togliere potere alle correnti
- meritocrazia nelle carriere. Gli avanzamenti devono avvenire (come in quasi tutte le altre organizzazioni) per capacità e non per anzianità di servizio. Se un giudice impiega anni a stilare una sentenza o si vede gran parte delle proprie sentenze ribaltate in appello non merita di avanzare in carriera
- responsabilità del giudice. Se il giudice sbaglia una sentenza (per dolo, cioè per volontà di sbagliare) deve pagare di persona
- divieto per un giudice di candidarsi nella circoscrizione in cui ha esercitato negli ultimi cinque anni
- decadenza dalla carica in caso di elezione. In questo caso non è ammissibile che esistano giudici che siano deputati e contemporaneamente giudici (se pure in quiescenza).
Tutto ciò dimostra come sia urgente e indifferibile una riforma autenticamente radicale della magistratura: altrimenti rischia di venir meno uno dei pilastri della nostra civiltà
di Angelo Gazzaniga